Il presidente della Cdp Franco Bassanini ha avanzato una proposta per restituire rapidamente i crediti che le imprese vantano verso la Pa. Abbiamo espresso riserve su quella proposta e ne abbiamo avanzato una alternativa (Il Sole 11 marzo). Vogliamo ritornare su questo argomento chiave per chiarire le differenze fra le due proposte.
Saldare i crediti richiede la soluzione di due problemi. Il primo è il reperimento delle risorse necessarie. La proposta Bassanini esclude l’impegno diretto dello Stato e lo sostituisce con quello delle banche e, in seconda battuta, della Cdp, i cui conti non si sommano a quelli dello Stato, seppure ne è controllata all’80%. Il meccanismo è il seguente. Lo Stato emette una garanzia sul credito vantato da un’impresa verso un’amministrazione. Con la garanzia l’impresa si presenta in banca e sconta il credito a un costo massimo, secondo Bassanini, del 2 per cento. La banca concorda con l’amministrazione un piano di ammortamento, ad esempio di 5 anni. La banca ha poi l’opzione, se l’amministrazione non paga, di cederlo alla Cdp. Seguendo l’intera catena, il debito dello Stato verso l’impresa si è trasformato in un debito dello Stato verso la Cdp, controllata dal Tesoro. La nostra proposta è più semplice: il Tesoro emette debito sul mercato, salda i debiti delle amministrazioni e concorda con loro il piano di rientro. Riteniamo questo approccio preferibile per varie ragioni.
– È meno costoso. Lo Stato può emettere titoli a tassi inferiori delle banche. Inoltre, a differenza delle banche, che faranno gravare il costo dell’operazione sulle amministrazioni debitrici o sulle imprese, il Tesoro può fare l’operazione senza caricare margini di intermediazione. Nel nostro schema, il Tesoro emette debito a diverse scadenze, in relazione alle esigenze temporali dei piani di rientro delle singole amministrazioni, e applica a questi piani esattamente il tasso di interesse che paga sui titoli corrispondenti, senza margine di intermediazione.
– È più trasparente. Nella proposta Bassanini non è chiaro se i crediti debbano essere calcolati nel debito pubblico e in Europa potrebbe apparire come un artificio contabile per evitare l’emersione di debito. Non ce n’è alcun bisogno. Abbiamo già argomentato che il debito della Pa verso le imprese è già ampiamente scontato dal mercato. Inoltre, il coinvolgimento della Cdp rischia di caricarla di crediti verso amministrazioni pubbliche insolventi, minandone l’operatività.
– È più efficace per garantire la responsabilità fiscale delle amministrazioni che non pagano i propri debiti. L’onere finale del pagamento deve rimanere in capo a chi ha contratto i debiti, per evitare problemi di “azzardo morale”: non pago, perché prima o poi subentrerà qualcun altro a saldare il conto. Il Tesoro ha maggior potere contrattuale per far rispettare gli impegni delle amministrazioni inadempienti: controlla i trasferimenti alle varie amministrazioni pubbliche, e, nel caso di mancato rispetto dei piani di rientro, può agire su questi trasferimenti. Le banche hanno scarso potere negoziale nei confronti delle amministrazioni e ancor meno incentivi a farli rispettare, data la garanzia della Cdp. Perché litigare con un comune per la restituzione del debito quando si può passare la patata bollente alla Cdp?
Il secondo problema sulla strada del pagamento è il riconoscimento di questi debiti da parte dell’amministrazione debitrice. Molte amministrazioni si rifiutano di certificare questi debiti perché il loro riconoscimento rende il vincolo del patto di stabilità interno più stringente. Ma senza questo riconoscimento nessun dirigente pubblico si assume la responsabilità di pagare. La proposta Bassanini fa perno sulla certificazione dei debiti (necessaria per poterli scontare in banca) ma non propone un meccanismo per superare il disincentivo delle amministrazioni debitrici a certificarli, al di là di affermare che l’inerzia dei funzionari non è più ammissibile e va sanzionata. Noi proponiamo un meccanismo che fa leva su chi ha più incentivo a fare emergere i debiti: le imprese creditrici stesse, che presentano la fattura al Tesoro. Questo la gira all’amministrazione di competenza per il riconoscimento con un tempo stretto per rispondere, ed eventualmente contestare l’addebito, scaduto il quale considera la fattura valida e la salda. La piattaforma informatica esiste già: quella che dal prossimo giugno entrerà in vigore per la fatturazione elettronica dei ministeri (e dall’anno prossimo, per tutte la Pa). Utilizzarla a questo scopo dovrebbe essere semplice e potrebbe essere un modo per testarne sul campo l’operatività.
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