La dismissione delle partecipate è stata un’occasione mancata. L’obbligo, a carico dei comuni con meno di 30 mila abitanti di mettere in liquidazione (o cedere) entro il 30 settembre 2013 le partecipazioni nelle società in perdita, è stato totalmente snobbato dai sindaci. Tanto che poi la legge di stabilità 2014 (legge 147/2013) ne ha preso atto, abrogando gli obblighi previsti dalla legge 122/2010, e introducendo a partire dal 2015 solo obblighi di accantonamento nei bilanci degli enti controllanti. Eppure, se fosse stata applicata su larga scala dai comuni, la dismissione avrebbe dovuto coinvolgere circa la metà (46%) dei 7.481 piccoli comuni italiani i quali avrebbero dovuto cedere o liquidare almeno una società con quote del capitale sociale. È quanto emerge dall’indagine del Cerved sulle 6.469 società partecipate dagli enti locali.
L’indagine, aggiornata a giugno 2014 (si veda ItaliaOggi di ieri), quantifica il fallimento degli obblighi di dismissione: sarebbero dovute scomparire 1.472 società, ma di queste ad oggi risultano in liquidazione solo 316 (pari al 21,5% del totale) mentre 64 società (4%) sono in procedura concorsuale.
Ne consegue, sottolinea il Cerved, che tre quarti degli enti controllati da comuni, province e città metropolitane risultano ancora operativi. Si tratta di partecipate che operano prevalentemente nel campo della consulenza (19,3% del totale), dei servizi sociali, dell’istruzione e della sanità (10,8%), nonché nel campo dello smaltimento dei rifiuti (10,3%). Dal punto di vista geografico le partecipate comunali con obbligo di cessione si concentrano soprattutto in Lombardia (14,8% del totale), Trentino-Alto Adige (9%) e Toscana (8,9%).
La fotografia del Cerved certifica l’attrazione che da sempre i comuni hanno avuto per le partecipazioni in società esterne: oltre il 97% degli 8.058 municipi italiani ha almeno una quota in una società iscritta nel registro delle imprese. Nel complesso, si contano 118 mila partecipazioni in 6.469 società (di cui ne sono operative 5.228). L’investimento in partecipate è un fenomeno che non fa distinzione tra comuni grandi e piccoli. I numeri del Cerved infatti parlano chiaro: sono 2.300 le società partecipate da comuni di piccola dimensione (meno di 30 mila abitanti), 683 quelle controllate da un comune medio (tra 30 e 50 mila) e circa 2.300 dai comuni più popolosi (oltre i 50.000). Con una differenza: i comuni più grandi tendono a investire più spesso in partecipazioni di minoranza in aziende non a controllo pubblico. Al contrario i centri minori investono più frequentemente in partecipate in cui il controllo è pubblico.
Il settore economicamente più proficuo è quello dell’energia e gas che da solo genera un quarto dell’attivo complessivo (23,7%). Seguono, tra le categorie più redditizie, il supporto ai trasporti, lo smaltimento dei rifiuti, la consulenza, la fornitura dell’acqua, il Tpl, i servizi sociali, l’istruzione, la sanità e il commercio al dettaglio. Il Nordovest è l’area geografica in cui si concentra il maggior numero di partecipate: si contano 1.542 società di cui oltre la metà ha sede in Lombardia (845 aziende che danno lavoro a più di 48 mila dipendenti). Seguono il Piemonte, la Liguria e la Valle d’Aosta. Nel Nordest si contano 1.379 società con il Veneto che la fa da padrone (472 società). Nel Centro Italia hanno sede 1.248 partecipate, di cui circa la metà ha sede in Toscana. Nel Sud e nelle Isole, invece, le partecipate sono 1.104.
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