La ripresa bloccata dalla super tassazione, per di più iniqua. E gravemente frenata dalla corruzione, che come la gramigna «può attecchire ovunque» e dilaga senza freni. No, non è un Paese normale l’Italia. Un paese in cui i tagli, e i miglioramenti che pure ci sono stati nei conti pubblici, e qualsiasi spending review, non bastano più. Dove il macigno del debito pubblico è insostenibile. E ci rende i più vulnerabili nella Ue dopo la Grecia. Lo Stato deve dimagrire, dice la Corte dei conti, deve restringere il suo «perimetro» d’azione, ripensare i servizi da dare e la loro erogazione, dalla sanità all’istruzione. E assestare un colpo d’accetta a sprechi che non muoiono mai: il vizietto delle società partecipate matrioska, luogo di spartizioni partitiche e clientelari, va azzerato una volta per tutte.
Non fa ancora una volta sconti la Corte dei conti nel giudizio di parificazione sul bilancio dello Stato 2013 presentato ieri. Il Pg, Salvatore Nottola, ha usato toni molto duri. Ed Enrica Laterza, che coordina il controllo nelle sezioni riunite, non ha esitato a mettere all’indice tutti i malfunzionamenti della spesa pubblica. Che è diminuita, l’anno scorso: ma solo perché è stata potata quella per investimenti. Come dire: di che rilancio parliamo? Proprio mentre la pressione fiscale si trasforma in un boomerang per la ripresa, quando invece servirebbe una distribuzione nuova di zecca del carico tributario. Sui redditi da lavoro e sull’impresa. Sennò, occupazione e rilancio resteranno solo dei gusci vuoti.
Serve insomma un disegno organico per dare gambe e sostanza, muscoli e coraggio a un Paese che non è certo ancora uscito dal guado. Anche per questo Laterza rilancia la ricetta della Corte dei conti: rivedere quelli che chiama «i confini» della Pa, a partire proprio dalle modalità di prestazioni dei servizi alla collettività, dalla salute all’istruzione, dalle imprese all’ambiente, si suggerisce. Rimettendo mano a un modo di operare «concepito in un contesto economico, sociale e demografico più favorevole».
Insomma, caro vecchio Welfare – e non solo – addio, sembra indicare la Corte dei conti. Ma senza tralasciare sprechi e vere e proprie scorrerie nelle praterie della spesa pubblica, che non muoiono mai. Come la gramigna, appunto. Che poi è la piaga della corruzione, che attecchisce così bene nel Belpaese. Corruzione che in Italia «può attecchire ovunque», è l’allarme di Nottola. Al punto, ha aggiunto, che il nostro è un Paese in cui nessuno può considerarsi realmente indenne dal pericolo e nessuna istituzione può ritenersi «scevra da responsabilità per il suo dilagare».
Corruzione che tra l’altro «condiziona gravemente l’economia del Paese». Legandosi a doppia mandata all’evasione fiscale, all’economia sommersa, alla criminalità organizzata. Una miscela esplosiva di cui è «impossibile e inutile» azzardare delle cifre. Ma certo pesa decine di miliardi e ha effetti altrettanto pesanti sullo sviluppo dell’economia, sulla possibilità di far attecchire gli investimenti e di attrarne dall’estero. Altre chance di crescita bruciate in partenza, insomma. Expo e Mose, sono solo gli ultimi esempi di un «terreno di coltura» che tra appalti e tangenti, tra iper legislazione e una rete di controlli inadeguata, non ci permette di uscire dall’emergenza. E di creare sviluppo. Altro che ripresa e rilancio dell’occupazione. La corruzione si mangia anche quelle.
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