<p>Con una media di 8 inadempimenti a testa (rispetto a 67 adempimenti previsti dalla legge nazionale) i comuni italiani rivelano un buon adeguamento agli obblighi di trasparenza. Lo rivela uno studio condotto dall’Istituto per la competitività e da Cittalia, presentato martedì 7 ottobre a Roma, e dedicato ai rapporti tra imprese e amministrazioni locali. È dal 2013 che gli amministratori pubblici sono obbligati a rendere pubbliche attraverso i siti istituzionali tutte le informazioni relative al funzionamento dell’ente, tra cui quelle relative al bilancio e al personale. A due anni di distanza dall’entrata in vigore della legge, nessuno ne aveva verificato lo stato di attuazione. L’unico strumento esistente, la «Bussola della trasparenza», creata e gestita dal dipartimento della funzione pubblica, si limita a esprimere un giudizio formale. Censisce cioè la presenza sui siti istituzionali degli spazi necessari per pubblicare le informazioni, senza verificare la qualità del dato pubblicato. Non è un caso quindi, spiega il rapporto, se la Bussola assegna un voto molto alto alle amministrazioni locali, rilevando una media di appena 0,6 inadempimenti a comune. Le stesse amministrazioni locali esprimono valutazioni generose sulla propria trasparenza. Gli organismi interni di valutazione, creati allo scopo di giudicare la trasparenza dell’ente, nel 90% dei casi attribuiscono all’amministrazione di riferimento il punteggio più alto. Per testare l’attendibilità di queste informazioni, i ricercatori di ICom e Cittalia hanno preso in esame un campione di comuni italiani, da nord a sud, di piccole e grandi dimensioni. A fronte del dato sul numero medio di inadempimenti, che appare comunque positivo, lo studio rivela alcune lacune importanti. Anzitutto, le omissioni più gravi si concentrano nella sezione «consulenti e collaboratori». Quella che, per legge, dovrebbe contenere i curricula, gli incarichi, le retribuzioni e le dichiarazioni sui con itti di interesse dei professionisti esterni all’amministrazione che prestano servizio per l’ente. Quasi una amministrazione su due, tra quelle censite dallo studio, omette di pubblicare tutte le informazioni al riguardo. Altre perplessità derivano dal formato dei dati sui siti web delle amministrazioni. La legge del 2013, infatti, non impone agli amministratori locali uno standard di pubblicazione. Questa libertà di scelta ha creato un divario tra amministrazioni più e meno virtuose. Spesso i dati pubblicati sui siti dalle amministrazioni sono copie scansionate di documenti, difficilmente elaborabili da parte di giornalisti e ricercatori. Il terzo problema evidenziato dallo studio riguarda l’estensione temporale dei dati. Da un esame a campione dei dati relativi ai bilanci, ai tassi di assenza del personale e ai consulenti e collaboratori emerge un quadro disomogeneo. In alcuni comuni è possibile accedere a informazioni risalenti nel tempo. Il comune di La Spezia, per esempio, comunica i tassi di assenza del personale a partire dal 2010. È però più frequente l’ipotesi opposta. Quella cioè in cui le informazioni messe a disposizione dei cittadini riguardano solamente gli ultimi 24, e talora 12, mesi. Quali sono le cause principali degli inadempimenti? Lo studio ne riporta due. La prima è la carenza di competenze in organico, cui si accompagna la difficoltà nel reperire fondi da destinare alla formazione del personale. Un problema, spiegano i ricercatori di I/Com e Cittalia, che affligge soprattutto i comuni di dimensioni minori, ma che in realtà è trasversale a tutti gli amministratori locali. Lo dimostrano le nomine dei responsabili della trasparenza. Solamente due dei comuni censiti dallo studio (Novara e Salerno) affidano l’incarico al responsabile del settore Ict del comune. Altri comuni operano scelte in sintonia con la spending review: a seconda dei casi l’incarico è affidato al Segretario generale, al direttore operativo, o al responsabile del settore socioculturale.</p>
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