La crescita è ormai al lumicino: gli accatastamenti effettuati nel 2013 sono 680mila, la metà di quelli dell’anno precedente, che già toccava il minimo storico del 2 per cento. E per le abitazioni, che rappresentano la metà dello stock immobiliare italiano (66 milioni di unità immobiliari), va ancora peggio: 0,5% di crescita, solo 174mila unità immobiliari (appartamenti o villette) in più rispetto al 2012.
I dati diffusi ieri dall’Omi (l’Osservatorio del mercato immobiliare dell’agenzia delle Entrate) costituiscono la conferma di una situazione di stallo. Gli immobili di nuova costruzione rappresentano, infatti, la quasi totalità dei nuovi accatastamenti, e il fatto che l’incremento si sia dimezzato significa che, quanto meno, sono pochi coloro che hanno ultimato l’edificio nella speranza di venderlo, visto che per tutte le decine di migliaia di cantieri sospesi in Italia la regola è quella di non completare la costruzione in modo da evitare almeno di pagare le imposte.
Lo stock degli immobili iscritti alla categoria F3, quella che raccoglie appunto le costruzioni non ultimate, resta molto alto: sono 717mila, 11mila (1,53%) in più del 2012. E sale il modo impressionante quello della categoria F2 (immobili in stato di rudere): il 12,4% in più sul 2012 e forse non tutti sono davvero da demolire, ma chi li possiede sceglie di renderli dei ruderi (magari scoperchiandoli di nascosto) per non pagare l’Imu, come accade per i capannoni che ospitavano aziende ormai chiuse e sui quali l’imposta è di decine di migliaia di euro l’anno. Il vantaggio dell’iscrizione alla categoria F è notevole: non essendoci rendita catastale attribuita, non ci sono neppure tasse. Non è prassi infrequente, ormai, tra i costruttori, quella di attendere che almeno una certa percentuale dell’edificio risulti prevedibilmente impegnato in una compravendita prima di procedere all’ultimazione e al conseguente accatastamento. La stessa opzione di ridurre la Tasi sugli immobili-merce invenduti (già adottata per l’Imu) è stata lasciata al buon cuore dei Comuni, ma ben pochi si sono dimostrati sensibili al problema.
Del resto i dati di Scenari Immobiliari diffusi dal Sole 24 Ore il 6 ottobre scorso parlavano di oltre 142mila case nuove invendute, e quelli dell’Omi sulle Ntn (compravendite) degli immobili relativi al 2013 denunciavano un calo del 51% rispetto al 2004 per il solo settore residenziale. Oltretutto, c’è da considerare che nel 2011, quando il trend negativo era stato interrotto, passando dal 2,2% del 2010 al 2,8%, molti avevano provveduto ad accatastare una parte (500mila) di quei 1,3 milioni di unità immobiliari “fantasma” che l’agenzia del Territorio aveva scovato con l’aerofotogrammetria. Il 2013 probabilmente è il primo anno che non risente dell’effetto positivo di queste regolarizzazioni. A ciò si aggiunge il congelamento del mercato (con la logica conseguenza del blocco di nuove edificazioni) e il risultato è questo dato dell’1%, una crescita che sta andando rapidamente verso lo zero, a seguito del Pil di cui del resto il mercato delle costruzioni è parte non minore.
Un dato che merita attenzione è quello del calo del numero delle case rurali (categoria A6), popolari (A4) e ultrapopolari (A5): sono oltre 143mila in meno, risultato di una maggiore attenzione dei Comuni alla possibilità di verificare la congruità della situazione reale con quella catastale, come è avvenuto a Roma con passaggi in massa dalla categoria A4 e A5 alle più veritiere A3 (economiche) e A2 (civile).
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