Devolution a rilento per il Demanio

Solo il 16% dei beni è stato effettivamente trasferito agli enti territoriali

Il Sole 24 Ore
27 Ottobre 2014
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Solo il 16% dei beni che il Demanio ha “regalato” a Comuni, Province e Regioni è passato effettivamente di mano: il processo innescato dal federalismo demaniale è in corso, ma i passaggi da compiere sono ancora numerosi. Prima la corsa alla prenotazione dei beni nella finestra di due mesi a fine 2013. Ne è scaturita una lista di 10mila richieste in cui c’è di tutto: appartamenti e caserme, ma anche arenili, ruderi, terreni, e persino tronchi ferroviari in disuso. Poi l’istruttoria dell’agenzia del Demanio, che ha detto sì al 60% delle richieste, anche se – come prevedibile – i pezzi più “pregiati”, tra cui forti e caserme in pieno centro, restano allo Stato «per la permanenza delle esigenze istituzionali». Qualche «no» è arrivato anche perché i Comuni, senza andare per il sottile, hanno chiesto anche beni non trasferibili (demanio idrico o marittimo).

Ora siamo nella fase delle scelte decisive. E non è detto che i 1.267 Comuni, le 27 Province e le sette Regioni in lista accettino in blocco i beni (ex) demaniali. Al momento sono ancora pochi, 864 in tutto (il 15,7% dei candidati) quelli trasferiti.

Ma partiamo dall’inizio. Con una norma inserita nel decreto del Fare (Dl 69/2013) il governo Letta ha provato a “risvegliare” il passaggio dei beni non più utilizzati dallo Stato agli enti sul territorio (per garantire un recupero o la vendita per fare cassa) che, partito con Berlusconi nel 2011, si era subito arenato. Tempi più stretti stavolta: due mesi per le richieste e altrettanti per le risposte del Demanio. Ma causa istruttoria complessa molti pareri sono arrivati un po’ oltre, ad aprile e in qualche caso anche a luglio. Alcuni «no» delle amministrazioni statali non sono andati giù ai Comuni: «C’è chi sta approfondendo le ragioni di alcuni pareri negativi – spiega Alessandro Cattaneo, l’ex sindaco di Pavia ora alla guida della Fondazione Patrimonio comune dell’Anci – per gli immobili più di pregio certo ci sono progetti anche statali di valorizzazione, ma alcuni dinieghi potrebbero essere frutto di inerzia, per esempio su immobili con locazioni in corso che potrebbero essere gestite in modo diverso».

Chi ha ricevuto il via libera del Demanio ha 150 giorni per decidere se prendere realmente il bene. A volte per fare «cassa», più spesso per portare avanti valorizzazioni di parti delle città. Al momento si trova in questa fase circa la metà dei Comuni. Alle prese con le istruttorie per reperire i dati catastali o urbanistici.

Anche loro sono in affanno sui tempi: in media per arrivare alla delibera di trasferimento ci vogliono 240 giorni, 90 in più del previsto. L’operazione, poi, non è a costo zero: per ogni bene trasferito il Comune si vede tagliare i trasferimenti erariali a compensazione del minor gettito per lo Stato. In più il 25% degli incassi di un’eventuale vendita o cessione di quota ai fondi va girato al Fondo ammortamenti titoli di Stato. Ma all’appello mancano ancora i due decreti attuativi che dovrebbero definire dettagli-chiave di queste operazioni, tra cui la durata dei tagli ai trasferimenti che, altrimenti, rischia di essere eterna. In molti casi il passaggio di mano serve a ricucire porzioni urbane o è il tassello mancante per piani di riqualificazione mai decollati. Come a Rimini, il primo Comune a tagliare il traguardo del trasferimento: a passare di mano è stato il cuore della città, il lungomare di Marina centro. «E ora possiamo avviare il progetto del Parco del Mare – ha spiegato il sindaco Andrea Gnassi – con l’obiettivo di togliere cemento e smog dal Lungomare entro il 2016».

Sulla carta il federalismo demaniale vale 1,3 miliardi. Ma con la valorizzazione potrebbe arrivare a pesare molto di più. «Ora i Comuni devono investire sulla progettazione del recupero – conclude Cattaneo – valorizzando le esperienze pilota del Piano città. E noi siamo pronti a offrire il supporto tecnico necessario».

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