A pochi mesi dal via, ci si interroga sull’effettiva applicabilità della centralizzazione degli acquisti disposta dall’articolo 33, comma 3-bis, del Codice dei contratti pubblici, modificato dai decreti legge 66 e 90 del 2014.
È ormai assodato che gli obblighi riguardano l’intero processo gestionale e non solo la fase di gara, nonostante alcune rilevanti perplessità sulla centralizzazione integrale dell’affidamento dei servizi pubblici e delle nuove opere, prestazioni poco standardizzabili e bisognose di competenze specialistiche non sempre disponibili nelle centrali uniche; per queste fattispecie si potrebbero utilizzare semmai le forme di “committenza ausiliaria” previste dalla Direttiva 24/2014/UE.
Ma il nodo essenziale riguarda le spese in economia. In base alla disciplina in esame, i Comuni con più di 10mila abitanti possono procedere autonomamente agli acquisti di beni, servizi e lavori di valore inferiore a 40mila euro; gli enti sotto soglia sono invece costretti a ricorrere alla Centrale Unica per ogni spesa (a parte quelle effettuate tramite economato).
La scelta rischia di rivelarsi iniqua e controproducente; non ha molto senso infatti “burocratizzare” le spese di importo limitato, come la sostituzione di una finestra rotta nelle scuole, che un ente potrebbe effettuare rapidamente in base all’articolo 125 del Codice dei contratti. In questi casi il costo della centralizzazione supera ogni possibile economia di scala e – a ben vedere – mette a repentaglio la condivisione stessa del disegno riformatore generale.
Sarebbe utile quindi esentare tutti gli enti dall’obbligo di accentrare le spese d’importo inferiore a 40mila euro, oltre agli interventi di somma urgenza, per ragioni di efficienza e di snellimento amministrativo. Ciò alla luce anche della Direttiva 2014/24/UE, che pur implementando il percorso per la centralizzazione degli acquisti precisa al considerando 59: «l’aggregazione e la centralizzazione delle committenze dovrebbero essere attentamente monitorate per evitare un’eccessiva concentrazione del potere d’acquisto e collusioni, nonché di preservare la trasparenza e la concorrenza e la possibilità di accesso al mercato per le Pmi».
Senza una deroga del genere, i Comuni fino a 10mila abitanti si troverebbero ancora una volta in uno stato di totale paralisi (come è accaduto già nel luglio scorso). Proprio per l’importanza degli obiettivi di contenimento della spesa pubblica, è necessario che vengano adottati per tempo gli opportuni correttivi anziché l’ennesima proroga di fine anno.
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