Nei fatti, nel 2010 era nato un bambino, riconosciuto inizialmente solo dalla madre; successivamente il tribunale per i minorenni ne aveva accertato la paternità. Così l’uomo ha chiesto che il figlio assumesse il proprio cognome in aggiunta a quello materno. Dal canto suo, la donna ha chiesto di respingere l’istanza, sostenendo che l’aggiunta non sarebbe stata conforme all’interesse del piccolo, almeno sino a quando il padre non avesse mostrato un reale interesse alla vita del figlio stesso, instaurando con lui un solido rapporto affettivo e di frequentazione.
Il tribunale ha accolto la domanda, richiamando, innanzitutto, l’articolo 262 del Codice civile, secondo cui, se la filiazione nei confronti del padre è accertata o riconosciuta successivamente al riconoscimento della madre, il figlio può assumere il cognome del padre aggiungendolo, anteponendolo o sostituendolo a quello della madre. Per l’ordinanza, la norma mira a conciliare due esigenze: individuare l’appartenenza di un soggetto a una famiglia e attribuire alla persona un elemento distintivo della propria identità (valore, quest’ultimo, di rilievo costituzionale). Nella decisione, il giudice deve tener conto unicamente dell’interesse del minore. In particolare, occorre verificare se il cognome attribuito al bambino «sia di tale significato sociale e personale da dovere essere mantenuto come segno distintivo della sua personalità»; e si deve anche valutare se «l’aggiunta o la sostituzione con quello paterno si risolverebbe in un’ingiusta privazione di un elemento distintivo della sua personalità, ossia del diritto del minore “a essere se stesso”».
Nel caso esaminato, il tribunale rileva che il bambino ha solo quattro anni, il che consente di escludere che l’aggiunta del cognome del padre a quello materno possa ledere la sua identità personale, intesa come coscienza di sé in ambito sociale e come idea che gli altri hanno di lui. Questo perché nei primi anni di vita la percezione di sé non si identifica in maniera decisiva nella consapevolezza del proprio cognome. Inoltre, il bambino non opera ancora in contesti di vita in cui si viene riconosciuti attraverso il cognome stesso. Dunque, il piccolo – conclude il tribunale – «non ha ancora acquisito con il matronimico, nella trama dei suoi rapporti personali e sociali, una definitiva e formata identità, in ipotesi suscettibile di sconsigliare l’aggiunta del patronimico».
Inoltre, il fatto che l’uomo e il figlio non vivano un rapporto affettivo stabile non costituisce una valida ragione per respingere la domanda. Piuttosto, il tribunale auspica che l’attribuzione del cognome paterno consenta l’instaurazione di un’effettiva relazione genitoriale, nel cui ambito il piccolo potrà riconoscere e percepire il ricorrente «(e non altri) quale proprio padre». Anzi, proprio l’aggiunta del cognome del padre costituisce, per il minore, l’opportunità di avvicinamento alla figura paterna in vista – conclude il giudice – di «una più completa definizione della propria identità».
Ragioni che inducono dunque il tribunale a ordinare che il bambino aggiunga il cognome paterno a quello della madre.
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