Città metropolitane da rilanciare

Il Sole 24 Ore
24 Febbraio 2015
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Siamo arrivati con un formidabile ritardo, rispetto agli altri Paesi avanzati, a riconoscere che il volto dell’Italia nel mondo sono le Città, o meglio, ad ammettere che le istituzioni di governo delle Città necessitano di assetti, poteri, regole, risorse e strumenti adeguati alla complessità dei problemi. Ciò vuol dire: sistemi urbani avanzati, snodi intelligenti che mettano in rete porti e aeroporti, attrattori di competitività, poli di ricerca, reti di mobilità a basso impatto ambientale, hub culturali, politiche integrate su sociale, pianificazione urbanistica, e poi semplificazione, unificazione di servizi e tariffe e così via. Il 1° gennaio sono state istituite formalmente otto Città metropolitane. Il legislatore ha optato per un modello, proposto ed elaborato dall’Anci, che nonostante le mediazioni parlamentari contiene un’impronta decisamente innovatrice: centralità dei Comuni e di chi li amministra con l’obiettivo di dar vita a un ente leggero, di coordinamento e supporto ai Comuni dell’area, con forte semplificazione istituzionale. Gli stessi amministratori dei Comuni siedono negli organi di governo, lo stesso sindaco del capoluogo è sindaco metropolitano. Sarebbe logica conseguenza continuare su questa strada, replicando un modello di concentrazione istituzionale anche riordinando le Province in alcuni casi, come le Regioni. 

Ora è essenziale che ciò che è scritto nella Costituzione e nelle leggi si traduca in atti concreti in tempi rapidi: è necessario che tutte le Istituzioni memorizzino l’esistenza delle Città metropolitane e comprendano che sono qualcosa di diverso dalle Province. 

Questo significa risolvere problemi urgenti e assumere decisioni a regime. Occorre: attenuare o eliminare le sanzioni sulle Città metropolitane per lo sforamento del Patto da parte delle ex Province; differenziare molto il taglio fra province e Città per le più ampie funzioni fondamentali attribuite a queste ultime; ripartire in modo differenziato gli obiettivi di Patto per spingere il ruolo di “investitore pubblico” delle Città; stanziare un fondo nazionale per interventi di sviluppo in settori su cui lo stesso Governo punta (edilizia scolastica, trasporti, infrastrutture…); attuare un finanziamento stabile, già previsto dalla legge, per settori strategici come i diritti portuali e aeroportuali. Senza questi interventi, la Città metropolitana di Milano avrebbe uno squilibrio di 113 milioni, Torino di 80 milioni, Bologna di circa 30, Firenze di 40, a cui si aggiungerebbe la sanzione del Patto. Poco aggiunge la futura mobilità del personale, in quanto ci vorrà del tempo e intanto i dipendenti vanno pagati. Preoccupa molto, poi, l’idea che il personale da spostare sia individuato dalla Regione e non da chi governa la Città. Su questo si rischia di partire male: tanto più che una rassegna delle proposte di legge regionali (proposta sul Sole 24 Ore di ieri) fa emergere che le Città metropolitane sono ignorate, e non c’è il trasferimento di competenze e risorse che la legge imporrebbe. 

di Veronica Nicotra
Segretario Generale Anci

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