Bene la manovra 2015, bene le riforme messe in cantiere dal Governo. Ma la congiunzione astrale delle misure della legge di Stabilità combinate col calo del prezzo del petrolio, il cambio favorevole, il Qe della Bce, non può andare sprecata. È un’occasione più unica che rara, l’ultimo treno utile per la ripresa dell’Italia. E dunque le riforme vanno attuate presto e bene, per favorire imprese e famiglie e tagliare la pressione fiscale. Usando il tesoretto di 6 miliardi accumulato con la riduzione della spesa per interessi, proprio per far camminare e attuare le riforme, ma tenendo ferma la barra dell’aggiustamento dei conti. E per farlo serve eliminare senza più indugi antiche «distorsioni». Attuando davvero una spending review di cui si sono perse le tracce ma che di qui al 2017 varrà 23 miliardi, ora coperti con clausole di salvaguardia. Con un passaggio chiave che ormai non può essere eluso: la riduzione del perimetro d’azione dell’intervento pubblico.
La Corte dei conti promuove quanto meno spirito e promesse della manovra 2015, ma mette in guardia Governo e Camere sulle iniziative da prendere al più presto. Senza sprecare tempo. Un intervento, quello delle sezioni riunite della magistratura contabile, che arriva in significativa coincidenza con lo stress test e l’imminente pagella che ci darà Bruxelles. Tanto più importante perché fa il punto di quanto resta da fare, con un rapporto che la Corte ha inviato ieri al Parlamento sulle prospettive della finanza pubblica dopo la manovra.
Prospettive che sulla carta la Corte giudica lusinghiere. Ma che vanno implementate e applicate senza passi indietro. Vanno rafforzate. Riforme, riforme, riforme. Che ieri il premier Matteo Renzi, da Parigi, ha assicurato che procederanno rapidamente: «Nel 2015 dovremo fare ancora di più», ha detto. Aggiungendo, in risposta a chi gli contesta i troppi decreti per farle marciare, che «saremo in grado di fare qualche decreto in meno se le opposizioni faranno qualche atto di ostruzionismo in meno».
Se il contesto internazionale di questa fase è indubbiamente favorevole, e dunque può rendere più praticabile l’attuazione delle riforme, spiega la Corte dei conti, è indispensabile che gli spazi d’intervento che si sono aperti per la riduzione della spesa per interessi «siano volti a incidere sulle aspettative di famiglie e imprese». Per dare stimolo a consumi e investimenti, certo. Ma facendo massima attenzione a non «procedere ad un aumento corrispondente della spesa primaria». Non manca l’elenco delle misure potenzialmente giudicate capaci di incidere sulla fiducia di cittadini e imprese. Dagli interventi strutturali sul mercato del lavoro e sul fisco (ancora in panne, peraltro). Ma anche quelli che dovrebbero fruttare sul lato della domanda interna (bonus fiscale e bonus bebè) come su quello dell’offerta (taglio Irap, decontribuzione, nuovi contratti di lavoro).
Tutto bene, allora? Non esattamente: «Tali luci si accompagnano a non marginali ombre», afferma la Corte dei conti. Se è vero infatti che il pressing della Ue sembra essere diventato meno asfissiante e più attento alla flessibilità, «la mancanza di un quadro definito degli assetti che potrà assumere la gestione pubblica contribuisce a generare disorientamento». Come dire: manca una bussola sicura perché «sono numerosi gli aspetti che devono ancora trovare una definizione». E l’elenco del “sospeso” non è poca cosa: vanno ridisegnate le strutture di governo, ridefinite le competenze e «quote significative degli apparati pubblici», tanto declamate da anni, ma mai completamente attuate. La stessa sostenibilità delle prestazioni sociali è sotto la scure dei tagli, che mina anche la qualità dei servizi, con forti e gravi differenze locali. E che dire di quella spending review ferma ai nastri (16 miliardi per il 2016 e 23 entro il 2017), con l’ombra che s’allunga delle clausole di salvaguardia? Per questo, conclude la Corte dei conti, i risparmi della spesa per interessi non vanno destinati a tamponare le falle della spending review, ma dedicati ad accelerare i processi di riforma. A tagliare le tasse, a creare vera ripresa. Superando «antiche distorsioni» e rivedendo «i confini dell’intervento pubblico». Con la «normalizzazione della politica fiscale». Altrimenti sarà solo tempo perso. Ancora una volta. Ma stavolta con ben poche chance di avere ancora tempi supplementari a disposizione.
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