Ambulanti in crescita al Sud e nelle grandi città

Commercio. Dal 2010 bancarelle aumentate del 12% contro il +0,5% dei negozi fissi: forte presenza di immigrati

Il Sole 24 Ore
13 Aprile 2015
Modifica zoom
100%
Cambia il quadro della distribuzione al dettaglio nei centri urbani e il commercio ambulante guadagna spazi sul tradizionale, ma con una dinamica e un’incidenza differenziata sul territorio. A spingerlo è la crescente presenza della componente straniera, mentre a macchia di leopardo spuntano attività finora prerogativa degli esercizi fissi.
Il monitoraggio, in base ai dati Confesercenti, evidenzia che in cinque anni (da febbraio 2010 a febbraio 2015) gli esercizi totali sono passati da 861mila a 865mila (+0,5%). I negozi “itineranti”, invece, sono passati da 167mila a oltre 188mila, con un incremento del 12% e una quota sul totale passata dal 19,4 al 21,8 per cento. Dall’analisi regionale emergono profonde differenze: i tassi di crescita più alti si registrano in Campania, Calabria, Umbria, Lazio, Lombardia e Toscana (nei negozi “fissi” hanno percentuali di incremento dal 4,2% all’1,3% e nell’ambulantato si raggiunge anche il 28%). Quanto alla presenza delle bancarelle sul totale degli esercizi commerciali, tre regioni del Sud (Calabria, Sicilia e Sardegna) più la Toscana arrivano a un quarto. Ultime le aree climaticamente più fredde o più difficili (Valle d’Aosta, Basilicata, Trentino-Alto Adige e Friuli Venezia Giulia). Tra le province spiccano Milano (+9%), Pescara e Caserta (+8% circa) per aumento totale dei negozi nei cinque anni, mentre nel segmento ambulante emergono Palermo, Milano e Napoli (dal 46 al 40% in più). Infine Catanzaro, Pisa, Caserta e Palermo hanno l’incidenza più alta (circa un terzo). Anche Roma si colloca nella parte alta della classifica con crescite superiori alla media (totale +5,2%, ambulanti +26,4%).
«Sono soprattutto le grandi città e alcune aree del Sud a denotare un’espansione dell’ambulantato – commenta Mauro Bussoni, segretario generale di Confesercenti -. Si tratta ora di capire quanto queste attività si dimostreranno stabili dal punto di vista economico o quanto sia forte invece il rischio di precarizzazione, visto che molto diffusa è la presenza di immigrati. A Milano, per esempio, nel settore dei chioschi di fiori si rilevano compravendite delle attività con frequenza anche settimanale».
In effetti le imprese straniere ambulanti registrate sono passate da 74mila a oltre 94mila da fine 2011 a fine 2014 (+26%) e ora sono la metà delle 188mila totali. «Parte del boom dell’ambulantato è attribuibile alla crisi – osserva Bussoni -, ma molto hanno concorso gli stranieri, per i quali la formula rappresenta una delle strade più semplici verso l’integrazione, con alcune etnie che si affermano in settori specifici, spesso abbandonati dagli imprenditori italiani. Il fenomeno non va letto solo in negativo, anche se resta anomalo rispetto al quadro congiunturale del Paese. Può anche essere positivo, perché dà possibilità di occupazione. Però ci sono zone grigie, come la qualificazione complessiva più bassa, le vendite a prezzi stracciati, la scarsa qualità, l’abusivismo contro il quale non si fanno interventi decisivi».
Intanto la crisi e la ricerca di altri business ha scatenato la fantasia: c’è chi offre interventi cosmetici al volo in strada o chi carica l’Ape di vestiti all’ultima moda. «L’ambulantato è una categoria che negli anni è cambiata – commenta Maurizio Innocenti, presidente di Anva, l’associazione di categoria Confesercenti degli imprenditori su area pubblica –. È una forma capillare e l’Italia non ha eguali in Europa, forse anche per ragioni climatiche. Trae origine proprio dalla struttura originaria della città, dove le attività si concentravano nella piazza del paese. E ha conservato duttilità, capacità di trasformazione, velocità nell’organizzazione».
Resta, però, una categoria penalizzata da alcune rigidità che ne riducono la competitività. A cominciare dagli orari: dovendo il mercato chiudere a fine mattina, non può intercettare i consumatori nella pausa pranzo o a fine lavoro. Senza contare la piaga dell’abusivismo. «In molti casi i mercati sono stati mandati in periferia e il loro posto è stato preso da bancarelle non sempre regolari o da furgoncini improvvisati, senza partita Iva, un sottobosco non autorizzato dalle autorità – continua Innocenti – che mettono in ulteriore difficoltà il commercio regolare, creando concorrenza sleale ed erosione del mercato. Bisogna che norme e vigilanza si sviluppino al passo della crescita del settore e che il consumatore venga tutelato, per esempio con loghi o marchi che permettano di individuare subito chi è in regola». 

Scrivi un commento

Accedi per poter inserire un commento