Bonus, il governo punta su povertà e scuola

Si allarga il fronte contro la dote che non c’è

Il Sole 24 Ore
14 Aprile 2015
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Qualcosa di più di semplici perplessità. Anche perché la dote-Def per tradursi in misure operative per quest’anno rimanendo in linea con i saldi sanciti dall’ultima legge di stabilità avrebbe bisogno di un’adeguata copertura sotto forma di nuovi tagli di spesa o maggiori entrate. Per muovere risorse non basterebbe quindi solo lo scostamento dello 0,1% tra deficit “tendenziale” e “programmatico” indicato dal Governo con le su stime. La corsa alla nuova dote è però già partita. C’è chi spinge, all’interno della stessa maggioranza, per estendere il bonus di 80 euro agli incapienti o chi, come il Forum delle associazioni familiari, rivendica metà delle risorse aggiuntive per le famiglie con figli. Ma il Governo potrebbe percorrere altre strade. Nelle ultime ore sembra prendere quota l’ipotesi di puntare soprattutto su scuola e povertà. Non escludendo la soluzione del mix d’interventi.

Il viceministro dell’Economia, Enrico Morando, ripete che tra le strade percorribili ci sono quelle dell’estensione «degli 80 euro agli incapienti totali» e «degli sgravi fiscali». Ma contemporaneamente il responsabile economico del Pd, Filippo Taddei, fa sapere che «le priorità sono contrasto alla povertà e scuola». L’idea sarebbe quella di destinare una parte delle risorse per l’attuazione della “Buona Scuola” prioritariamente per l’alternanza scuola lavoro (solo 100 milioni l’anno fino ad ora garantiti) e per i meccanismi premiali agli insegnanti (ai quali fin qui sono stati destinati 200 milioni) senza escludere fondi in più per l’edilizia scolastica ma non puntando sulla stabilizzazione dei precari. L’altra fetta della dote verrebbe utilizzata in prima battuta per l’irrobustimento dell’Asdi (la copertura attuale è di 200 milioni l’anno per il biennio), il nuovo assegno di disoccupazione che arriva dopo l’Aspi per sostenere i capofamiglia mono-reddito con figli minori e gli over 55 usciti dal mercato del lavoro.

Matteo Renzi farà la sua scelta non prima che siano trascorse tre o quattro settimane, comunque entro la fine del mese di maggio che si chiuderà con la tornata, seppure “parziale”, di Regionali e amministrative. Tutte le ipotesi restano in campo. Le risorse molto ambite. Le Associazioni del Terzo settore chiedono di privilegiare la povertà. Il ministro della Cultura, Dario Franceschini, pur senza fare riferimento alla dote-Def, proprio ieri ha lanciato un bonus fiscale per il restauro delle facciate dei Palazzi.

Ma sull’utilizzazione di risorse che scaturiscono da un dispositivo previsionale come quello del Def sale la polemica. «È singolare che ad aprile si consideri convalidato» il dato previsionale sullo scostamento «tra deficit tendenziale e programmatico» dice Fassina (minoranza Pd), che comunque fa notare che qualche margine c’è «perché siamo abbondantemente sotto il limite del 3%». Fassina evoca un’anomalia contabile e tiene a sottolineare che il «vero problema resta quello della manovra recessiva» che si profila «con obiettivi irrealistici». Il M5S parla di Def come libro dei sogni, tesoretto compreso. Brunetta (Fi) definisce «il tesoretto un imbroglio in chiave pre-elettorale: spendi subito con un decreto basandoti solo su dati previsionali incerti e aleatori». E, dicendosi «meravigliato che il ministro Padoan svenda la sua credibilità», chiede al Ragioniere generale di «far valere le sue prerogative» e al capo dello Stato di esercitare la moral suasion. Un’operazione che fa discutere anche sulla scorta di casi precedenti. 

Nella premessa che la storia recente della contabilità pubblica presenta non pochi precedenti di spese coperte attraverso “prenotazioni” ex ante di risorse poi effettivamente esposte in bilancio solo a consuntivo, una maggiore spesa (quale sarebbe il bonus allo studio del governo) va coperta con contestuali tagli alla spesa corrente primaria o con pari aumenti delle entrate. Coprire una maggiore spesa (immediata con effetti sull’intero esercizio) in deficit comporta rischi non indifferenti, soprattutto qualora (ed è questo il caso) lo spazio sul deficit sia ricavato ex ante in virtù di una stima (la cui verifica è possibile solo a fine anno) in base alla quale si presume che il Pil quest’anno crescerà più del previsto (non più lo 0,6% ma lo 0,7%). In sostanza si scommette su una previsione tutta da verificare sul campo. Qualora quella stima non si realizzasse, verrebbe meno anche lo spazio ricavato sul deficit rendendo in tal modo “nulla” la copertura di partenza, che in quel caso andrebbe sostituita. Come? Di nuovo, con tagli alla spesa o aumenti di entrate.

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