La stessa circolare 15/E/2015 propone tuttavia due temperamenti. Quanto al primo, se la fattura irregolare non è stata ancora pagata (né per l’imponibile, né per l’Iva), il fornitore deve regolarizzarla attraverso l’emissione di una nota di accredito, seguita da una fattura rettificativa recante i riferimenti allo split payment.
Qualora, invece, la fattura sia stata effettivamente pagata dall’ente pubblico, ma soltanto (e correttamente) per la quota parte relativa all’imponibile, il fornitore può (non «deve») procedere alla regolarizzazione della fattura (ancora una volta, attraverso l’emissione di nota di accredito e di successiva fattura rettificativa).
Il tema, in ogni caso, riguarda anche gli enti pubblici: se il fornitore non emette nota di accredito, c’è il rischio che gli obblighi di regolarizzazione (entro 30 giorni) della fattura irregolare vengano a ricadere – ex articolo 6, comma 8, Dlgs 471/97 – sull’ente stesso, pena l’applicazione di una sanzione pari al 100% dell’imposta, con un minimo di 258 euro. E questo, si badi bene, anche quando l’ente abbia correttamente applicato lo split payment, riversando all’Erario l’Iva trattenuta al fornitore.
A mitigare un quadro sanzionatorio così palesemente sproporzionato rispetto alla gravità della violazione concorrono due fattori: la circolare 23/99, che considera irregolari le fatture recanti un’imposta o un imponibile inferiore al reale (e non è certo questo il caso delle fatture che non riportano l’annotazione sulla scissione dei pagamenti) e – soprattutto – la giurisprudenza comunitaria, che non ammette l’applicazione di sanzioni eccedenti quanto necessario per la puntuale applicazione dell’imposta.
In ogni caso, meglio differire il pagamento all’atto del ricevimento della nuova fattura rettificata.
Sempre che questo sia possibile, alla luce delle vigenti disposizioni sui tempi di pagamento della Pa.
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