Un punto in più dell’anno scorso. Detta così, potrebbe sembrare una conquista piccola, quasi trascurabile, ma in tempi di tagli e tasse, di crisi economica e mareggiate di antipolitica, il «gradimento» dei cittadini è merce rara. A veder crescere il proprio bottino sono i sindaci dei capoluoghi di Provincia, che nella nuova edizione del Governance Poll elaborata da Ipr Marketing ottengono in media una sufficienza piena, ma soprattutto interrompono una serie negativa che ormai da anni erodeva progressivamente l’apprezzamento dimostrato dai loro amministrati. Quest’anno, il 53,4% dei potenziali elettori dicono che in caso di elezioni voterebbero il sindaco in carica, mentre dodici mesi fa la stessa risposta era stata data dal 52,3% degli intervistati.
L’inversione di rotta ha un motivo evidente. Dopo le elezioni che undici mesi fa hanno cambiato giunte e consigli in 4.092 Comuni, fra cui 29 capoluoghi di provincia, nelle città si è affacciata una classe di amministratori giovani, dal punto di vista anagrafico o politico (ma spesso i due aspetti coincidono); e le novità hanno più chance di piacere, o almeno di alimentare qualche speranza per combattere un po’ il malumore prodotto da Imu, Tasi, Tari, oppure dalle multe e dalle tariffe che provano a compensare le sforbiciate assestate dalle manovre. «La nuova graduatoria – conferma Antonio Noto, direttore di IPR Marketing – è figlia del “sentimento” politico che ha guidato gli italiani nell’ultimo anno, dominato dalla richiesta di cambiamento».
A spingere i risultati 2015 dei sindaci è Dario Nardella, che a Firenze sostituisce Matteo Renzi grazie al 59,2% di voti ottenuti al primo turno e ora sale a un rotondo 65% di «sì» raccolti tra i suoi concittadini. Appena più sotto Antonio Decaro, anche lui erede di una personalità non facile da sostituire, quel Michele Emiliano che dopo anni da campione di consensi a Bari ora corre per la presidenza della Regione (senza troppi problemi secondo i sondaggi, viste anche le lotte interne al centrodestra). Sul terzo scalino si incontra invece Giorgio Gori, che solo l’anno scorso ha iniziato la propria «seconda vita» in politica vincendo le amministrative a Bergamo dopo una carriera da manager e produttore televisivo.
Anche fuori dal podio, però, si sentono parecchio gli effetti del rinnovamento elettorale dello scorso anno, che porta in alta classifica città negli anni passati lontanissime dalla vetta. Due esempi, nel profondo Sud e all’estremo Nord, spiegano bene il fenomeno: a Reggio Calabria Giuseppe Falcomatà, 32enne figlio dello storico sindaco Italo al quale la città dello Stretto ha dedicato anche lo spettacolare lungomare, riesce a superare il 60,9% raccolto alle urne nel primo turno mentre a Verbania Silvia Marchionini, classe 1975 ma lunga esperienza da amministratore locale, si ferma lontana dal consenso record (77,9%) ottenuto al ballottaggio ma raccoglie un 61% in grado di proiettarla al sesto posto.
Gli anni, insomma, oggi in politica si fanno sentire, e non sono molti i personaggi che riescono a mantenere ricca nel tempo la propria dote di consenso. La leadership degli amministratori “di esperienza” può essere attribuita a Paolo Perrone, che in realtà non è nemmeno cinquantenne ma guida il Comune di Lecce dal 2007, e tiene alta la bandiera del centrodestra in un elenco di sindaci sempre più spostato a sinistra. Insieme a lui, al settimo posto della graduatoria, si incontrano anche il presidente dell’Anci Piero Fassino, sindaco di Torino dal 2011 ma politico di lungo corso tra leadership di partito, parlamento e ministeri, e Roberto Scanagatti, che da tre anni guida il Comune di Monza in cui ha fatto il proprio ingresso da consigliere del Pci nel 1987. Fassino primeggia invece fra le grandi città, che si concentrano invece nelle zone medio-basse della classifica: De Magistris a Napoli è al 58esimo posto, Pisapia occupa la casella numero 67 mentre Marino a Roma è all’82esimo posto, e manca di poco la barriera del 50 per cento. «Da questi numeri – avverte Noto – non bisogna trarre conclusioni elettorali, perché tecnicamente non si misura l’intenzione di voto ma l’opinione dei cittadini sull’operato del sindaco. Qui manca il contesto competitivo, e questo permette ai cittadini di dare un giudizio meno filtrato dalle appartenenze politiche». Sono numeri, insomma, che interessano più gli amministratori dei politologi, e alle elezioni si vedrà.
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