Sulla riforma costituzionale del Senato tutto si deciderà a settembre. Ma le parole pronunciate ieri da Pietro Grasso, in occasione della cerimonia del Ventaglio, sono un monito che non può essere sottovalutato.
«Occorre privilegiare la strada dell’accordo politico alto, dell’intesa sui contenuti, piuttosto che la ricerca dei singoli voti», ha detto il presidente del Senato. Un auspicio non generico anche perchè accompagnato da alcune indicazioni sia sulle funzioni esclusive di garanzia e controllo della futura Camera Alta che sul punto più controverso della riforma: l’elezione indiretta dei senatori prevista dall’articolo 2, che la minoranza Pd, ma anche le forze di opposizione, vorrebbero cancellare.
Una richiesta che finora è stata respinta dal governo, che pur non chiudendo al compromesso, non intende rimettere in discussione la norma ritenuta il cuore della riforma. Anche perché per il Governo è una strada impraticabile in quanto l’articolo 2 è già stato approvato da entrambe le Camere nella cosiddetta copia conforme e quindi immodificabile. Tesi che i 25 senatori della minoranza Dem respingono, forti della piccola ma sostanziale modifica lessicale intervenuta alla Camera su cui ieri si è espresso anche Grasso.
Nel testo licenziato da Montecitorio si prevede che «la durata del mandato dei senatori coincide con quella degli organi delle istituzioni territoriali dai quali (e non più «nei quali», ndr) sono stati eletti». E qui interviene Grasso. Per il presidente del Senato l’articolo 2 a questo punto non solo può ma deve essere modificato perchè c’è una «palese contraddizione», rilevata – sottolinea – anche dalla presidente della commissione Affari costituzionali, Anna Finocchiaro, nella sua relazione. In sostanza, lasciando inalterato il testo uscito dalla Camera, un sindaco eletto senatore resterebbe in carica a Palazzo Madama anche se il suo mandato alla guida del Municipio si fosse nel frattempo esaurito, visto che la sua permanenza al Senato dipende dalla durata del Consiglio regionale e non più da quella dell’organo «nel» quale è stato eletto. Grasso precisa che comunque «in merito all’apertura o meno a possibili modifiche dell’articolo 2 nessuna decisione può essere presa senza un’attenta analisi delle proposte emendative su cui sarò chiamato a pronunciarmi». Proposte che arriveranno appunto solo quando il provvedimento sarà già stato licenziato dalla commissione Affari costituzionali. Un traguardo al quale mancano «ancora parecchie settimane», che, insiste Grasso, «spero vengano utilizzate in modo proficuo per raggiungere un accordo politico anche sul punto della composizione del nuovo Senato».
Un tempo per il dialogo a cui ha fatto riferimento ieri anche il premier. «Entro il 15 ottobre la riforma costituzionale sarà approvata al Senato: vedremo se sarà lettura definitiva o ci vorrà un nuovo voto alla Camera», ha detto Renzi. Il presidente del Consiglio apparentemente si mostra disponibile. La minoranza Dem però non abbassa la guardia. L’arrivo in soccorso della maggioranza del nuovo gruppo di Denis Verdini (oggi si costituisce ufficialmente) è letta come un tentativo di Renzi di indebolire la loro posizione. E in effetti il primo risultato che il premier otterrà sarà quello di riconquistare la maggioranza in commissione Affari costituzionali dove al posto di uno dei 2 esponenti di Gal, che votano con l’opposizione, si insedierà un senatore di Verdini. In questa chiave vanno letti anche i rinnovi della guida delle commissioni parlamentari di Palazzo Madama che, come il rimpasto di governo, avverranno a settembre.
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