Padoan parla a Rimini nella giornata conclusiva del Meeting di Cl, e dopo aver ribadito che una crescita limitata allo «zero virgola» non soddisfa di certo il Governo, parla di percorso obbligato per la prossima legge di stabilità. Nessuna cifra, nessuna indicazione sia pure di massima sulla ripartizione degli interventi. Il metodo, questo sì, si basa sul principio che non basta ridurre le tasse. Occorre assicurare che l’intervento sia permanente, così da orientare i comportamenti di famiglie e imprese su un sentiero di fiducia. Non si può – lascia intendere il ministro – replicare con quanto avvenuto finora con la tassa sulla prima casa, prima eliminata poi reintrodotta sotto altra veste. «Sono 20 anni che non abbiamo tassi di crescita degni della nostra ricchezza». Il motivo? «Non si sono affrontati gli ostacoli strutturali». Se non si modificano i comportamenti di imprese e famiglie, la ripresa resterà debole, la crescita insoddisfacente. Per le famiglie – ribadisce Padoan – è in cantiere l’eliminazione per tutti delle tasse sulla prima casa. Per le imprese «bisogna capire come immaginare facilitazioni fiscali per il Sud». Interventi da realizzare in modo graduale, con un «orizzonte temporale di medio termine», nell’arco della legislatura in questo caso, e dunque entro il 2018. Tagliare subito le tasse per 50 miliardi? «Magari!».
Ma come si finanzia un’operazione del genere dati i vincoli ineludibili imposti dal nostro ingente debito pubblico? La riduzione del carico fiscale deve essere «credibile», insiste Padoan. E non vi è altra strada che agire attraverso la spending review, «abbattendo le spese. Se le esigenze diminuiscono c’è uno spazio credibile per la riduzione delle tasse». Principio condivisibile. L’interrogativo, cui il Governo dovrà rispondere nelle prossime settimane, è se si può ipotizzare un taglio da 15 miliardi della spesa con la prossima legge di stabilità, considerando che 10 miliardi sono già impegnati per evitare che dal 2016 aumentino Iva e accise sulla benzina, come previsto dalla clausola di salvaguardia della manovra di quest’anno. Il problema è che il nostro è un paese a «bassa produttività», non perché i dipendenti «lavorano poco, ma perché lo fanno in un ambiente e in un contesto di impresa a volte insufficiente. L’aumento di produttività è il risultato di più investimenti, più innovazione e più capitale umano. Bisogna utilizzare in modo diverso e nuovo le conoscenze che già si hanno, o produrre nuova conoscenza».
Per il Sud si fa strada un intervento basato su forme di «agevolazioni fiscali da inserire nella legge di stabilità, rispettando i vincoli di bilancio, e tenendo presente la disciplina per gli aiuti di Stato». Questione – ricorda Padoan – monitorata con «particolare attenzione» dalla Commissione Ue. La crisi profonda da cui si fatica a emergere ha inferto «ferite profonde» al nostro tessuto produttivo, che devono ancora essere rimarginate.
Quanto ai possibili effetti del rallentamento dell’economia cinese, con la persistente fibrillazione sui mercati finanziari, Padoan ammette che persistono timori in caso di ulteriore rallentamento «perché è un enorme mercato del quale l’Italia, paese di grande capacità competitiva, può approfittare». Se la Cina dovesse frenare più del previsto, «dovremo chiedere all’Europa di fare di più». Risposta europea prima di tutto, dunque. Possibili revisioni al ribasso delle stime di crescita? Padoan, in una intervista al “Sussidiario.net”, non nega che il clima economico internazionale si sia «sicuramente intiepidito», per effetto del rallentamento del gigante cinese, dei «problemi domestici» di Brasile, Russia e India, e della bassa crescita dell’eurozona nel suo complesso. Pur tuttavia, al momento il Governo è orientato a confermare le previsioni del Def di aprile: 0,7% per il Pil del 2015, 1,4% per il 2016. Quel che manca nel rafforzamento del sistema bancario italiano è «un operatore di mercato capace di gestire crediti in sofferenza per liberare le banche italiane da questo peso, che rappresenta la pesante eredità di una crisi molto lunga». Per noi la priorità è aggredire il debito. Se si cresce di più il «debito si riduce automaticamente».
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