Il punto più delicato è stato confermato dalla versione definitiva del decreto di Palazzo Chigi con le «tabelle di equiparazione», cioè lo strumento (previsto fin dalla riforma Brunetta ma finora mai attuato) per disciplinare i passaggi da un comparto all’altro. Il decreto (si veda anche Il Sole 24 Ore di ieri) dovrebbe riguardare almeno 8mila persone, al netto dei prepensionamenti, mette nero su bianco il fatto che la parte “variabile” dello stipendio che non rientra nei parametri del nuovo inquadramento sarà garantito solo per le voci «con carattere di generalità e natura fissa e continuativa», se l’ente di destinazione trova i fondi anche a valere sulle risorse assunzionali. Questa previsione ha sollevato le proteste sindacali, ed è concreto il rischio di ricorsi a catena quando le mobilità partiranno davvero: la prima prova del nove si avrà con le procedure avviate dal ministero della Giustizia, che secondo l’ultima manovra (comma 425 della legge 190/2014) dovrebbe assorbire fino a 2mila esuberi provinciali.
Un’incognita analoga riguarda l’altro provvedimento, quello in arrivo sui criteri generali per la mobilità. Agli spostamenti interni al comparto di Regioni ed enti locali sono interessati prima di tutto circa 10mila persone, cioè i dipendenti dei centri per l’impiego che dovrebbero passare alle Regioni in attesa del varo dell’agenzia nazionale prevista dal Jobs Act e una quota dei poliziotti provinciali, in «transito» verso i Comuni. A prevederlo è il decreto enti locali approvato prima della pausa estiva, ma il compito di questo secondo provvedimento ministeriale è ancora più ampio perché dà 20 giorni alle Province per pubblicare l’elenco degli “esuberi” nel Portale nazionale della mobilità, e 40 giorni a Comuni e Regioni per inserire nello stesso Portale i posti disponibili in dotazione organica. L’incrocio di domanda e offerta rappresenta ovviamente la condizione indispensabile per consentire gli spostamenti, ma anche in questo provvedimento (articolo 10 della bozza) torna la garanzia sulla busta paga concentrata sulle voci con carattere di generalità e natura fissa e continuativa.
In ogni caso, saranno poi i dirigenti delle amministrazioni di destinazione a dire l’ultima parola sugli inquadramenti dei nuovi arrivi, perché i provvedimenti chiedono loro di valutare anche titoli e curricula per definire le collocazioni: un’altra operazione delicata, stretta fra i rischi di impugnazione da parte dei diretti interessati e le possibili obiezioni della Corte dei conti quando ci si discosta dai parametri generali.
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