I dubbi sono oggi più che legittimi in quanto, rispetto alla tabella di marcia disegnata dal Governo, i tempi si stanno allungando parecchio. Uno dei primi passi per poter dar corso all’incontro fra domanda e offerta di lavoro prospettato dalla Funzione pubblica è rappresentato dall’atto, adottato dalle amministrazioni provinciali, con il quale vengono individuati nominativamente i dipendenti da considerare in soprannumero. Ma quale è il dirigente che si prende la responsabilità, oggi, di adottare questa determina? Tuttora, ci sono elementi che incidono su questa scelta e che non risultano delineati. Per poter procedere alla compilazione dell’elenco nominativo è necessario che vengano individuate le funzioni che restano in capo agli enti di area vasta, siano esse fondamentali oppure delegate dalle regioni. In sostanza, serve la legge regionale con la quale si individuano i compiti che le stesse amministrazioni si riservano di svolgere direttamente e quelle che invece scelgono di ri-delegare agli enti di area vasta. In questo modo, sono quantificati i dipendenti che vengono trasferiti e quelli che restano nei ruoli delle ex Province. Molte regioni non hanno ancora provveduto in tal senso, e per questa ragione il processo è bloccato. Anche nell’ipotesi in cui questa fase dovesse subire un’improvvisa accelerazione, magari per effetto delle sanzioni introdotte dal decreto enti locali per le Regioni che non chiuderanno la procedura entro fine ottobre, lo stop verrebbe dalla mancanza dei criteri sulla mobilità, previsti dal comma 423 della legge di stabilità 2015. Infatti, mentre è stato approvato il decreto con il quale sono fissate le tabelle di equiparazione fra le categorie dei diversi comparti pubblici, il provvedimento sui criteri è stato esaminato in sede di conferenza unificata (e anticipato sul Sole 24 Ore del 15 luglio), ma non ha ancora visto il varo definitivo. È evidente che, in assenza di regole, la procedura non può essere portata a termine.
Ne consegue che il calendario delle operazioni inevitabilmente slitta. Ma questo procrastinarsi non è del tutto indolore. Sorge, innanzitutto, il problema di dare certezza allo stipendio dei dipendenti ex provinciali. Le norme garantiscono loro, in caso di mobilità, il trattamento fondamentale e il salario accessorio, limitatamente alle voci con carattere di generalità e natura fissa e continuativa. Stante l’assenza di una definizione, a livello sia normativo sia contrattuale, di tali caratteristiche, la battaglia sarà inevitabile. Ancora, questo salario accessorio non ha trovato, ad oggi, un suo pacifico e condiviso finanziamento, a causa delle incertezze che le norme di riferimento hanno creato sul tema.
Superate anche queste perplessità, la bozza di provvedimento sui criteri della mobilità disegna un cronoprogramma che, nella migliore delle ipotesi, di pubblicazione del decreto nei prossimi giorni, vede la conclusione del processo alla fine dell’anno, bruciando, di fatto, la prima annualità del biennio 2015-2016 a disposizione. Questo significa che, per l’anno corrente, gli stipendi di tutti i dipendenti delle ex Province, compresi quelli dichiarati in soprannumero, devono trovare spazio nei bilanci degli enti di area vasta. E non è così scontato che questi bilanci reggano. Gli input che provenivano dalla Funzione pubblica a inizio anno avevano fatto ipotizzare che i trasferimenti del personale in esubero potessero avvenire attorno alla fine del primo semestre 2015 o, al massimo, in autunno. L’aver previsto la spesa solo per una parte dell’anno, magari per poter far quadrare un bilancio che sopportava tagli non indifferenti, mette a rischio le casse degli enti di area vasta.
Inevitabili sono, quindi, interventi che, da un lato, aumentino gli stanziamenti di bilancio per gli stipendi dei dipendenti e dall’altro, allarghino l’arco temporale dal biennio al triennio, includendo anche il 2017. Forse non a caso, la scorsa primavera, la Funzione pubblica ha chiesto alle singole amministrazione anche le cessazioni dal servizio del 2016.
Una cosa è certa: la storia insegna che, spesso, le proroghe sono state il viatico per far naufragare ovvero posticipare sine die intere operazioni.
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