Case popolari in vendita

Via libera allo sblocco delle cessioni da parte dei comuni. Lo prevede un emendamento alla manovra correttiva approvato in Commissione. Pensionate nella p.a. a 65 anni, interessate nel 2012 circa 20-25 mila persone

l 2 Luglio 2010
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Via libera allo sblocco della vendita delle case popolari da parte dei comuni, anche se costruite con un contributo statale o regionale. Lo prevede un emendamento alla manovra correttiva (decreto-legge 78 del 2010) approvato dalla Commissione bilancio del Senato. Si tratta degli immobili ex Iacp e la possibilità di venderli era già prevista dal Piano casa che prevede appunto che gli enti locali vendano ex case popolari reinvestendo nella costruzione di altre. L’emendamento a firma dei senatori del Pdl, Cosimo Latronico, Gilberto Pichetto Fratin e Paolo Tancredi, estende quindi anche agli alloggi ex Iacp le disposizione contenute nella legge del 2008 che consente appunto di dismettere gli immobili ricadenti nel territorio di competenza e inserirli nel Piano delle alienazioni immobiliari e valorizzazioni immobiliari che va allegato al bilancio di previsione dei comuni.
Con la manovra arriva inoltre la sforbiciata ai finanziamenti dei patronati: nel 2011 subiranno tagli per 87 milioni. L’emendamento sulle pensioni presentato dal relatore alla manovra, Antonio Azzollini, prevede che i risparmi derivanti dalla misura andranno a compensare gli effetti dell’aumento delle aliquote contributive previsto dalla legge 247 del 2007.
L’emendamento dispone che a valere sul gettito dei contributi previdenziali obbligatori incassati per l’anno 2010, l’aliquota di prelevamento, che è quella con cui si finanziano gli istituti di patronato e di assistenza sociale, sia rideterminata nello 0,178% dallo 0,226% previsto a decorrere dal 2010. Inoltre, come risulta dalla relazione tecnica all’emendamento, è prevista per il 2011 la riduzione del 22% degli stanziamenti iscritti nelle unità previsionali di base dello stato di previsione del Ministero del lavoro e delle politiche sociali per il finanziamento dei patronati.
Passando al cuore dell’emendamento, e quindi alle disposizioni sulle pensioni, si prevede che vengano adeguati dopo un anno, rispetto a quanto inizialmente previsto, i requisiti per la pensione, in modo che siano coordinati alle aspettative di vita: il nuovo sistema partirà dal primo gennaio 2016. La riforma originaria, contenuta nel decreto 78/2009, fissava invece la data dell’adeguamento dell’età delle pensioni alla speranza di vita al primo gennaio 2015. I risparmi attesi dell’operazione ammontano a 7,8 miliardi nel periodo 2016-2020: 60 milioni nel primo anno, 800 milioni nel 2017, 1,725 miliardi nel 2018, 1,920 miliardi nel 2019 e 3,333 miliardi nel 2020. La disposizione che, come ha detto ieri il Ministro del welfare Maurizio Sacconi, comunque non intaccherà il requisito dei 40 anni per andare in pensione (e in tal senso l’emendamento sarà modificato), prevede al momento “l’adeguamento triennale, a decorrere dal primo gennaio 2016, dei requisiti anagrafici per l’accesso al pensionamento di vecchiaia ordinario , al pensionamento anticipato e all’assegno sociale nonché del requisito contributivo ai fini del conseguimento del diritto all’accesso al pensionamento anticipato indipendentemente dall’età anagrafica alla variazione della speranza di vita all’età corrispondente a 65 anni accertata dall’Istat in riferimento al triennio precedente”. Per la valutazione degli incrementi della speranza di vita a 65 anni è stato adottato lo scenario demografico Istat centrale: l’adeguamento cumulato, ad esempio al 2050, comporterà circa 3,5 anni in più. I soggetti che maturano i requisiti interessati nel periodo 2016-2020 sono circa 400 mila.
La relazione tecnica precisa inoltre che la norma comporterà una riduzione dell’incidenza della spesa pensionistica in rapporto al Pil di circa 0,1-0,2 punti percentuali attorno al 2020, crescente fino a 0,5 punti percentuali al 2030 per poi decrescere a 0,4 punti percentuali al 2040 e a 0,2 punti percentuali al 2045, attestandosi a tale livello anche alla fine del periodo di previsione dopo una fase di effetto sostanzialmente nullo.
Per quanto riguarda invece l’aumento a 65 anni dal 2012 dell’età di pensionamento delle donne nel pubblico impiego così come chiesto dall’Europa, esso interesserà all’anno in questione 20-25mila lavoratrici, con risparmi attesi nel periodo 2012-2020 di 1,4 miliardi di euro comprensivi anche delle norme sulla finestra mobile. Il minor numero di pensioni liquidate nei vari anni, ovviamente contenuto nel 2012, sarà pari a circa 300-400 unità che corrispondono a 5.000-5.500 l’anno nel biennio 2013-2014, 4.000 l’anno nel biennio 2015-2016 e poi gradualmente decrescente negli anni successivi. Nel dettaglio, gli effetti finanziari saranno pari a 10 milioni nel 2012, a 150 milioni nel 2013, 250 milioni nel 2014, 350 milioni nel 2015, 300 milioni nel 2016, 200 milioni nel 2017, 100 milioni nel 2018, 50 milioni nel 2019, e nessun risparmio nel 2020. Risorse che confluiranno nel fondo strategico per il Paese a sostegno dell’economia reale per interventi dedicati a politiche sociali e familiari, con particolare attenzione alla non autosufficienza e all’esigenza di conciliazione fra vita lavorativa e vita familiare delle lavoratrici.

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