Le imprese europee che si occupano di innovazione tecnologica non riescono a fronteggiare in termini di prestazioni i grandi rivali internazionali, ovvero Stati Uniti e Giappone. A renderlo noto è la Commissione europea nelle conclusioni del Quadro valutativo dell’Unione dell’innovazione del 2010, alla sua prima edizione ed in sostituzione del Quadro europeo di valutazione dell’innovazione.
Il lavoro è stato commissionato dalla Direzione generale Imprese e Industria della Commissione Europea, preparato dal Comitato economico e sociale di Maastricht e dal centro di Ricerca e Formazione per l’innovazione e la tecnologia (MERIT), assistita dal Centro comune di ricerca dell’UE. Basandosi sulla precedente esperienza dell’ European Innovation Scoreboard (EIS), il quadro di valutazione del 2010 offre un analisi più accurata sulla situazione complessiva della UE dal punto di vista dell’innovazione e delle prestazioni della ricerca, analizzando i punti di forza e gli aspetti negativi dei sistemi di innovazione dei 27 stati membri. Con l’obiettivo di potenziare le prestazioni in tali campi mediante i rispettivi programmi nazionali di riforma, nell’ambito della strategia Europa 2020.
Sebbene – si legge in una nota – l’andamento nella maggior parte degli stati membri sia promettente, nonostante la crisi economica, i progressi non sono abbastanza rapidi. L’Unione Europea mantiene ancora un grande vantaggio sulle economie emergenti di India e Russia, mentre il Brasile continua ad avanzare e la Cina sta per raggiungerla.
La Svezia mantiene il primo posto per l’innovazione tra le 27 nazioni dell’UE seguita da Danimarca, Finlandia, Germania e Gran Bretagna. Il gruppo successivo è formato da Regno Unito, Belgio, Austria, Irlanda, Lussemburgo, Francia, Cipro, Slovenia ed Estonia.
Il gruppo dei cosiddetti “innovatori moderati”, ovvero quelli le cui prestazioni sono inferiori dal 10 al 50 percento alla media UE sulla scala di innovazione, è formato da Croazia, Repubblica Ceca, Grecia, Ungheria, Italia, Malta, Polonia, Portogallo, Slovacchia e Spagna. Per finire i quattro ritardatari: Bulgaria, Lettonia, Lituania e Romania. Proprio a tali Paesi si è rivolto il commissario per l’Industria e l’Imprenditoria, Antonio Tajani, dichiarando che “ciò che conta non è la posizione nella classifica, ma la direzione di marcia e il ritmo con cui i paesi crescono e si attrezzano per innovare”. Quanto all’Italia, secondo il responsabile dell’Industria ha fatto dei passi avanti “importanti” ma è necessario “fare di più”.
Il nostro paese, infatti, nonostante sia classificato tra i paesi in netto ritardo rispetto alla media UE per quanto riguarda la maggior parte degli indicatori presi in esame, ha registrato una progressione. I grafici, mostrano come nel 2010 vi sia stato un piccolo risveglio nella gran parte degli indici che hanno fatto guadagnare al Belpaese tre posizioni nella classifica generale, collocandolo al sedicesimo posto.
“Il quadro valutativo – ha dichiarato Tajani – evidenzia che dobbiamo aumentare il nostro impegno per rendere l’Europa maggiormente innovativa, per raggiungere i nostri principali concorrenti e riprendere il cammino verso una crescita solida e sostenibile”. “Il quadro valutativo, utilizzando una varietà di ricerca e di indicatori relativi all’innovazione, sottolinea l’urgenza di innovazione in Europa” ha dichiarato il commissario Marie Geoghegan-Quinn, sottolineando come essa sia “essenziale per un’economia moderna” oltre ad essere il “principale strumento di creazione di posti di lavoro”.
I 25 indicatori dello studio sono raggruppati in tre categorie principali: “elementi abilitanti”, ovvero gli elementi costitutivi di base che consentono l’innovazione quali ad esempio risorse umane, finanziamenti e sostentamenti; “studio delle attività” che dimostrano come le imprese sono innovative in Europa. Infine, la categoria “uscite” riguarda questioni come il numero di imprese che hanno portato l’innovazione sul mercato, il numero di imprese ad alta crescita e la misura in cui l’innovazione ha aumentato le vendite e l’occupazione.
La Commissione afferma che uno dei più grandi problemi d’Europa è dato dalla debolezza nel generare ricavi da brevetti ad alto impatto, cioè quelli che garantiscono ritorni significativi per le imprese nei mercati globali. L’Unione Europea produce un minor numero di brevetti ad alto impatto rispetto agli Stati Uniti e il Giappone, e non si posiziona in modo efficace in settori dove la domanda mondiale è più forte. Questo dimostra, inoltre, che il modello economico e il funzionamento del mercato interno della conoscenza protetta non sarebbe sufficiente.
Scrivi un commento
Accedi per poter inserire un commento