Si va verso una convergenza tra esecutivo e parti sociali sulla opportunità di sopprimere le province e aggregare il più possibile i comuni. Questo quanto emerso, tra l’altro, dall’incontro sulla crisi economico-finanziaria svoltosi ieri. Si articola su otto punti il piano presentato dal Governo a Palazzo Chigi. Un documento da discutere nelle prossime settimane con le parti sociali, per arrivare a un pacchetto di misure condivise da approvare a settembre.
L’impegno del governo, spiegano fonti dell’esecutivo al termine del confronto con le parti, è quello di effettuare da qui alle prossime settimane “uno scambio continuo di informazioni con imprese e sindacati sui singoli punti per arrivare a settembre con un pacchetto di provvedimenti da presentare d’intesa con le parti sociali a settembre”. Le proposte dell’esecutivo partono dalla priorità al pareggio di bilancio nel 2014 e alla libertà economica con la riforma dell’articolo 41 della Costituzione. È necessario poi portare avanti la riforma fiscale e assistenziale con il contrasto all’evasione fiscale. Al terzo punto c’è la modernizzazione delle relazioni industriali e il mercato del lavoro nel settore pubblico e privato, poi ci sono la finanza e le reti di impresa con particolare attenzione alla internazionalizzazione. La quinta proposta riguarda l’accelerazione delle opere pubbliche, delle infrastrutture energetiche e delle nuove reti di telecomunicazione. Poi viene indicato come prioritario un percorso di privatizzazione dei servizi pubblici locali e le liberalizzazioni. E ancora, il taglio e la semplificazione dei costi della politica, della burocrazia, delle funzioni pubbliche centrali e locali (tra cui rientra l’accorpamento e la soppressione degli enti). Infine c’è la diffusione delle nuove tecnologie pubbliche e private e i fondi strutturali europei e il Mezzogiorno. Ecco invece in sintesi i sei punti del documento presentato dalle parti sociali (sindacati e Confindustria).
– Pareggio di bilancio nel 2014. “A questo obiettivo occorre dare credibilità. È questa una condizione essenziale per il ritorno alla normalita’ nei mercati finanziari. Pareggio di bilancio come obbligo costituzionale. Per quanto riguarda la proposta di azzeramento del fabbisogno nell’ultima parte del 2011 osserviamo che questa rischia di scaricare maggiori oneri sul 2012. Noi, invece, riteniamo che si debbano prendere provvedimenti strutturali capaci di incidere sulle tendenze di fondo della spesa pubblica”.
– Costi della Politica: “Anticipare da subito le riduzioni contenute nella manovra. Ridurre i costi delle assemblee elettive e degli organi dello Stato. Abolire le Province. Accorpare o consorziare i piccoli comuni”.
– Liberalizzazioni e privatizzazioni: “Occorre un grande piano di privatizzazioni e liberalizzazioni da avviare subito.
Affrontare con decisione i temi essenziali della regolazione e dell’apertura dei mercati. Intervenire nell’immediato su alcune delle situazioni critiche segnalate dall’Antitrust e procedere alla liberalizzazione delle professioni. Avviare la dismissione e la valorizzazione del patrimonio pubblico, con un piano articolato negli anni. Incentivare gli enti locali a dismettere patrimoni immobiliari e societa’ di servizi consentendo loro di utilizzarne i proventi per spese d’investimento superando gli attuali vincoli del Patto di Stabilita’“.
– Sbloccare gli investimenti: “Sbloccare con misure eccezionali le opere gia’ finanziate con risorse pubbliche e private. Rimuovere gli ostacoli normativi alla realizzazione delle opere con particolare riguardo alla logistica e all’energia. Utilizzare, con il necessario cofinanziamento nazionale, i fondi europei per il Mezzogiorno a partire da quelli dell’anno in corso. Perdere questi fondi sarebbe inaccettabile. Modificare il titolo V della Costituzione per recuperare a livelli appropriati la strategia delle grandi reti ed evitare sovrapposizioni di competenze”.
– Semplificazioni e Pubblica Amministrazione: “Non è piu’ rinviabile la riforma strutturale della Pubblica Amministrazione che permetta un recupero di produttivita’ e consenta di risolvere situazioni di crisi utilizzando strumenti analoghi a quelli del settore privato.
– Mercato del lavoro: “Alla luce delle gravi difficolta’ del Paese le parti sociali proseguiranno l’impegno per modernizzare le relazioni sindacali. Vorremmo infine ricordare che, pur in una situazione difficilissima, le imprese e le banche italiane stanno dando un grande contributo all’economia del Paese. Sappiamo che le imprese devono crescere e recuperare produttivita’. Attuare un piano straordinario di lotta all’evasione fiscale e contributiva utilizzando i proventi per ridurre la pressione fiscale sulle imprese e sul lavoro. Detassare in via strutturale i premi di risultato.
Incentivare la crescita dimensionale e la patrimonializzazione (ACE). Avviare un piano di riduzione progressiva dei pagamenti ritardati alle imprese in vista dell’applicazione della direttiva comunitaria. Attuare politiche incisive volte alla promozione e difesa del made in Italy di qualita’ (…). Definire un piano energetico per la green economy con una visione al 2020, operando principalmente attraverso la fissazione di standard”.
LE REAZIONI DELL’ANCI
‘’La proposta di legge di iniziativa popolare resa recentemente nota dall’Unione delle province d’Italia e relativa alla razionalizzazione delle province, all’istituzione delle città metropolitane, all’accorpamento dei comuni e alla soppressione degli enti territoriali intermedi, ha il pregio di sollecitare una riflessione ulteriore su un nuovo e ormai atteso assetto dei poteri locali e sul tema dei cosiddetti ‘costi della politica’, non essendo tuttavia esente da ormai diffusi e demagogici quanto controproducenti luoghi comuni”. È quanto dichiarano Mauro Guerra, vice presidente Anci e coordinatore nazionale piccoli comuni e Enrico Borghi, vice presidente Anci con delega alla montagna. “Luoghi comuni ormai diffusi – aggiungono – come quello per cui il numero dei nostri comuni sarebbe di per sé causa di sprechi e costi inutili. In Italia i comuni sono 8.092, in Germania i comuni sono 12.104, in Francia 36.682 di cui il 90% con meno di 2.000 abitanti, in Spagna 8.116, in Austria 2.357 con 8 milioni di abitanti, in Svizzera, che ha meno abitanti della Lombardia che ha 1.500 comuni, i comuni sono 2516. Vogliamo dire quindi che Germania, Austria, Svizzera, Francia, sono Paesi con sprechi e inefficienze nella pubblica amministrazione solo perché hanno molti comuni ?”. “È evidente – rilevano Borghi e Guerra – che il tema non sta nel numero in se, ma in come è organizzato e funziona l’intero sistema istituzionale, centrale e locale di un Paese. Ed è esattamente di questo che, al di là delle improvvisazioni, chiediamo da tempo che si discuta. Siamo pronti a ragionare di norme che portino ad un serio processo di riordino istituzionale territoriale del nostro Paese, evitando duplicazioni e sovrapposizioni nell’esercizio delle funzioni, semplificando la rete delle istituzioni locali, garantendo alle comunità locali l’adeguatezza dei loro comuni nel gestire tali funzioni fondamentali, attraverso gestioni associate obbligatorie con Unioni di comuni ed anche processi volontari ed incentivati di fusione, laddove ciò sia più utile e valido per quei territori”. “Riteniamo che tutto ciò – evidenziano – debba essere approfondito con compiutezza all’interno di un franco confronto tra tutte le componenti rappresentative delle istituzioni locali e nelle sedi politiche e legislative appropriate, anche per consentire in tal modo il procedere dell’iter sul d.d.l. Carta delle autonomie, con la consapevolezza unitaria di dover perseguire gli interessi generali del Paese. Si può e si deve fare rapidamente. Si deve fare con conoscenza della realtà e con serietà e lealtà istituzionale. Proprio i piccoli comuni, nelle more del completamento dei processi di riforma in atto ormai da troppo tempo, stanno ‘autoriformandosi’ e unendosi volontariamente da oltre un decennio, anticipando di molto la più recente normativa sulle gestioni associate obbligatorie varata dal Parlamento dallo scorso anno ad oggi”. “Occorre ragionare seriamente – sottolineano – e noi chiediamo lo si faccia rapidamente su come si tengono insieme necessità di risparmi ed efficienza con la necessità di presidiare e governare territori spesso vasti e complessi quanto scarsamente abitati e serviti, che necessitano di una prossimità di governo che solo l’ente comune è in grado di assicurare. Sapendo anche, ad esempio, che dagli ultimi dati di consuntivo disponibili, la spesa corrente per abitante nei piccoli comuni è inferiore a quella degli altri. Ciò che non possiamo accettare è che venga surrettiziamente messa in discussione la centralità del Comune per ciò che rappresenta per i cittadini e anche in quanto chiaramente sancita dall’art.118 della Costituzione, nell’attribuzione delle competenze oggi in capo ad enti dei quali si propone la soppressione”. “Ciò vale ancor più per i territori di montagna, nei quali il processo di riforma e di semplificazione deve ulteriormente procedere al fine di giungere ad un modello più moderno e forte di governance nel quale al comune, singolo o associato, debbono spettare tutte le attribuzioni connesse alla migliore amministrazione del territorio. Anche per questi motivi, la semplificazione del sistema dei piccoli comuni è già dinamicamente in atto da tempo, dalla pianura alla montagna, con esperienze associative e cooperative comunali attivate nonostante si sia in presenza di una legislazione statale e regionale non sempre all’altezza della situazione. Siamo pronti a fare la nostra parte per fronteggiare le esigenze del Paese in un momento particolarmente difficile, ma pretendiamo serietà nell’affrontare i problemi soprattutto quando si parla di riforme che dovranno ridisegnare l’intero assetto delle istituzioni locali della Repubblica, con l’ambizione di non durare lo spazio di una manovra estiva ma di contribuire a risanare questo Paese, a renderlo più competitivo e capace di tornare a crescere. E non è un buon segno – concludono Borghi e Guerra – che al tavolo con le parti sociali che affronterà questi temi si cominci senza la presenza di comuni, province e regioni”.
DEBITO DEGLI ENTI
Intanto ieri la Corte dei conti nella relazione sulla gestione finanziaria degli enti locali negli esercizi 2009-2010 ha evidenziato che “il debito finanziario complessivo dei comuni, nel 2009, può stimarsi in 63,3 miliardi di euro e rimane sostanzialmente invariato rispetto al 2008. Analoga la dinamica, nel biennio 2008-2009, per le province per le quali il debito, nel 2009, è pari a 11,7 miliardi di euro”. Il debito dei comuni, sottolinea la Corte, “grava sulla popolazione residente per 954 euro pro-capite e incide sul prodotto interno lordo per il 5,2%. Il debito delle province, spiega la magistratura contabile, ha un’incidenza pro-capite di 198 euro e costituisce circa l’1% del prodotto interno lordo.
Molto pesante risulta l’incidenza media del debito sulle entrate correnti (per i comuni oltre il 114,9% e per le province del 105,9%)”. Nella relazione si evidenzia la crescita, rispetto al debito totale, dei mutui e dei prestiti obbligazionari. “L’area Nord – spiega la magistratura contabile – ha il maggior importo di debito, tanto in valori assoluti che relativi alla popolazione e alle entrate correnti. Il dato, spiega la Corte dei conti, si inverte in ordine all’incidenza percentuale sul Pil”. Si evidenzia che “per molti comuni e non poche province, l’onere del debito finanziario, che è di natura certa e di lunga durata, è coperto in buona parte con il ricorso a risorse di natura straordinaria (non strutturali), quali avanzi di amministrazione generati per lo più da positiva revisione dei residui, oneri di urbanizzazione, plusvalenze nelle vendite immobiliari”. La finanza locale nell’esercizio 2010, fa notare ancora la Corte, “evidenzia la crescita delle entrate tributarie, sia nelle province che nei comuni. L’aumento delle entrate fiscali assume per i comuni un carattere non episodico e trova riscontro anche in un incremento dei trasferimenti, che, invece, sono in sostanzioso calo nelle province. Ad un buon andamento delle entrate correnti nei comuni – osserva la Corte dei conti – si contrappone una perdurante flessione delle entrate correnti nelle province, per le quali si registra anche un calo della spesa corrente e, in modo più evidente, di quella per investimenti. Tale ultimo decremento, ripetendosi negli ultimi esercizi, desta preoccupazione provocando un crollo nella realizzazione degli investimenti. Analoga la dinamica delle spese in conto capitale dei comuni”.
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