Traffico illecito di rifiuti: un’emergenza globale

I numeri, le rotte, i Paesi coinvolti e le proposte per contrastare il fenomeno

l 19 Dicembre 2011
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L’ecomafia ha assunto ormai una dimensione globale e rappresenta una minaccia agli ecosistemi, alla salute dei cittadini e all’economia legale. Tra i vari settori illegali, quello più pericoloso e difficile da contrastare è sicuramente il traffico organizzato e illecito di rifiuti internazionali. Un fenomeno che in Italia è comunque possibile investigare e scoprire con discreto successo grazie all’introduzione nel 2001 del delitto di attività organizzata di traffico illecito di rifiuti (ex art. 53 bis del decreto Ronchi, ora art. 260 del D. Lgs. 152/2006), l’unico delitto ambientale esistente nel nostro paese. Dal 2001 a oggi le inchieste relative a traffici internazionali in partenza dall’Italia sono state 31, con 156 arresti e 509 denunce, 124 aziende sottoposte a provvedimenti giudiziari, e con il coinvolgimento di ben 22 Paesi esteri (10 europei, 5 asiatici, 7 africani): dalla Germania alla Cina, dalla Russia al Senegal.
La necessità di accrescere le sanzioni per esercitare una maggiore azione preventiva è stata il tema centrale della Conferenza sul traffico illecito di rifiuti organizzata oggi a Roma dal Consorzio PolieCo, da Legambiente e dall’Istituto Interregionale delle Nazioni Unite per la Ricerca sul Crimine e la Giustizia (Unicri) >> il dossier.
All’incontro, coordinato dal responsabile Osservatorio Ambiente e Legalità di Legambiente Enrico Fontana, hanno partecipato, tra gli altri, il Ministro dell’Ambiente Corrado Clini, il Presidente di PolieCo (Consorzio Nazionale per il riciclaggio dei rifiuti dei beni a base di polietilene) Enrico Bobbio, Vittoria Luda di Cortemiglia, programme coordinator, Unità Crimini Emergenti, Istituto Interregionale delle Nazioni Unite per la Ricerca sul Crimine e la Giustizia (Unicri), Marco Antonio Araujo de Lima, operations management officer, Interpol, l’On. Gaetano Pecorella, presidente Commissione bicamerale di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti, Tommaso Marvasi, della Fondazione Santa Chiara per lo Studio del Diritto e dell’Economia dell’Ambiente, Giuseppe Peleggi, Direttore Agenzia delle Dogane, Roberto Pennisi, sostituto procuratore Direzione Nazionale Antimafia, Roberto Rossi, consigliere del Csm, Paolo Russo, presidente della Commissione agricoltura della Camera, l’On. Giovanni Fava, presidente della Commissione parlamentare d’inchiesta sui fenomeni della contraffazione e della pirateria in campo commerciale, Francesco Ferrante, della Commissione Ambiente del Senato, il Sen. Francesco Paolo Sisto, della Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno della mafia e sulle altre associazioni criminali, anche straniere, Stefano Ciafani, vice presidente nazionale di Legambiente.
Il convegno è stato anche l’occasione per comunicare lo stato dell’arte in merito alla costituzione di un Osservatorio sui traffici internazionali di rifiuti promosso dal Consorzio PolieCo e da Legambiente.
Nel nostro Paese, l’entrata in vigore del delitto di traffico organizzato di rifiuti ha consentito agli inquirenti di usare contro le holding criminali del settore idonei strumenti investigativi (come le intercettazioni telefoniche e ambientali), arrestare i presunti responsabili di traffici, fare ricorso alle rogatorie internazionali, contare su tempi di prescrizione più lunghi rispetto agli altri reati ambientali, tutti di tipo contravvenzionale. Requisiti che hanno permesso di delineare con sufficiente precisione caratteristiche, modalità operative e rotte delle organizzazioni criminali che gestiscono questi traffici e di disarticolare alcune delle strutture transnazionali più operative. Un ulteriore impulso è arrivato con l’inserimento del delitto previsto dall’art. 260 del Dlgs 152/2006 tra quelli di competenza delle procure distrettuali antimafia, in considerazione della sua particolare gravità. Si tratta ora di completare il quadro, sia in Italia sia a livello europeo, per rendere ancora più efficace l’attività d’indagine e di contrasto.
Per aggirare la Convenzione di Basilea – che dal 1992 regolamenta i movimenti transfrontalieri di rifiuti tra paesi Ocse e non Ocse vietandone in linea generale l’esportazione – i trafficanti fanno ricorso alle triangolazioni tra paesi e alla falsificazione dei documenti di accompagnamento dei carichi (la tecnica del giro-bolla). Container carichi di veri e propri rifiuti, spacciati alle frontiere come fossero materie prime seconde o scarti di lavorazione, passano di mano in mano per far perdere le loro tracce, da un intermediario a un altro, da un paese a un altro: Italia-Germania-Olanda-Hong Kong-Cina, ad esempio. Di regola, cinque, sei, sette passaggi per carico. Nel nostro Paese il percorso criminale transfrontaliero inizia, solitamente, dalle grandi piattaforme logistiche che rastrellano ogni genere di scarto, anche quelli provenienti dalla raccolta differenziata, per destinarli all’estero (quasi sempre con la dicitura falsa di sottoprodotti).
“A differenza di qualche anno fa, i trafficanti internazionali di rifiuti non esportano oltre confine solamente scorie tossiche non riutilizzabili, come melme acide, scorie chimiche o radioattive – ha commentato Stefano Ciafani, vicepresidente nazionale di Legambiente – ma materiali da riutilizzare, in aperta violazione sia delle leggi, sia delle regole di libero mercato, sfruttando a proprio vantaggio le potenzialità economiche degli scarti e scaricando i costi sulla collettività”.
Da una parte, infatti, le imprese che si liberano di scarti di produzione rivolgendosi al mercato nero dello smaltimento praticano una delle più odiose forme di concorrenza sleale nei confronti delle aziende che, invece, operano nella legalità. Stando alle stime della Guardia di finanza, se lo smaltimento legale di un container di circa 15 tonnellate di rifiuti pericolosi ha un costo medio di 60 mila euro, la via illegale riesce ad abbattere questo costo anche del 90%. Dall’altra, le imprese che operano nel settore del riciclo di materia in Italia assistono inermi al drenaggio di risorse verso l’estero, subendo una drastica riduzione di attività e fatturati.
Dalle indagini concluse negli ultimi 5 anni emerge una sorta di specializzazione internazionale nei traffici internazionali di rifiuti. Nei paesi africani arriva di tutto: fusti con sostanze particolarmente pericolose e non riciclabili, insieme a auto rottamate, Raee e materiali ferrosi, principalmente rame. Nei paesi dell’Est e Centro Europa giungono rifiuti destinati illegalmente ai termovalorizzatori e alle discariche (sfruttando leggi sullo smaltimento dei rifiuti più permissive), ancora auto rottamate e varie tipologie di scorie tossiche. Un’altra rotta è quella adriatica, tra l’Italia e la Romania. Ma a fare la parte da leone sono i paesi dell’Estremo oriente e, in particolare, la Cina nei cui porti giungono ogni anno migliaia di container carichi di rifiuti di ogni genere – prevalentemente plastica, carta, metalli, legno, Raee – destinati alle miriadi di piccole e medie aziende dell’entroterra dove verranno riciclati al di fuori di ogni legge e senza alcun trattamento.
Bloccare questi flussi è l’obiettivo prioritario degli inquirenti, dalle forze dell’ordine all’Agenzia delle dogane. Nel 2010 sono state sequestrate 11.400 tonnellate di rifiuti diretti prevalentemente in Cina, India, Africa, il 35% dei quali composto da materie plastiche e pneumatici fuori uso. I principali porti di spedizione si sono rivelati quelli di Genova, Venezia, Napoli, Gioia Tauro e Taranto. Quanto scoperto finora, però, non è altro che la punta di un iceberg, visto che ogni anno, solo nei nostri porti, si movimentano circa 4.400.000 container, 750 mila dei quali diretti in Cina.
I sequestri hanno riguardato soprattutto rifiuti di carta e cartone (37%), materie plastiche (19%), gomma (16%) e metalli (14%). Circa il 90% delle spedizioni di rifiuti di carta e cartone e di materie plastiche sequestrate era destinato in Cina, mentre il 70% delle spedizioni di gomma e pneumatici era destinato in Corea del Sud. I metalli erano destinati per il 48% in Cina e per il 31% in India, mentre le parti di veicoli erano destinate prevalentemente in Cina, Egitto e Marocco, con percentuali rispettivamente del 34%, del 15% e del 12%.
“La costituzione di un futuro Osservatorio sui traffici internazionali di rifiuti promosso dal Consorzio PolieCo che mi onoro di presiedere e dalla principale Associazione ambientalista del Paese – ha dichiarato il Presidente PolieCo, Enrico Bobbio – dovrebbe essere salutata con favore da quanti hanno a cuore le sorti dell’ambiente e dello sviluppo del Paese”.
Sono lontani, infatti, i tempi in cui mondo dell’impresa, della produzione e dell’economia divergevano fortemente dalle istanze ambientali. Oggi, all’alba della 3a rivoluzione industriale, come ci ricorda anche il noto economista Jeremy Rifkin, per produrre ricchezza e benessere occorre confrontarsi con tutti i fattori in gioco, l’ambiente in via prioritaria”.
Compito e dovere principale dei Consorzi obbligatori per la gestione rifiuti dovrebbe essere quello di monitorarne i flussi vigilando su tutte le fasi di gestione (dalla “produzione” alla raccolta ed eventuale selezione o trattamento intermedio e fino a quando tali rifiuti cessano di essere tali, secondo la normativa Nazionale ed Europea [End of waste], ivi compresa da delicatissima eventuale fase di spedizione in paesi esteri). Il tutto per garantire il rispetto delle regole e la massima tutela dell’ambiente.
A tali compiti si affiancano certamente quelli di organizzare e proporre modelli di gestione al fine del raggiungimento degli obiettivi di legge, ma quella di controllo sulla gestione resta la mission prioritaria.
Non a caso infatti negli organi di detti Consorzi siedono rappresentanti delle istituzioni e l’Autorità Amministrativa ha il dovere di vigilare sull’operato degli enti consortili.
Altre attività, quali, ad esempio quelle economico/Commerciali, restano (o dovrebbero restare) estranee o comunque marginali rispetto all’attività principale dei Consorzi obbligatori.
In questo senso si sottolinea il grande impegno che, da sempre muove il Consorzio PolieCo nella direzione della promozione massima della legalità nel settore del riciclo, tanto più oggi, quando, le notizie diffuse dai media e i tanti Studi in materia confermano, si assiste ad una rimodulazione dei traffici transfrontalieri di materiali da riciclare e riciclati verso e da Paesi emergenti che non hanno, come l’Italia una quasi centenaria conoscenza pratica e tecnologica della materia.
Duole osservare che, mentre da più parti si sbandierano slogan inneggianti alla green economy, poi, nella sostanza, non si tengono nel dovuto conto le problematiche derivanti dalla fuga di materiali riciclabili all’estero.
Il nostro Paese – ha dichiarato, infine, il Presidente Bobbio – non può più essere rinunciatario su queste questioni; ne va del suo futuro ambientale ed economico”.
Ecco le proposte presentate e condivise dai soggetti partecipanti per rendere più efficaci le attività di contrasto dell’ecomafia globale:

  1. rafforzare da un lato e semplificare dall’altro il quadro sanzionatorio in materia di tutela penale dell’ambiente attualmente in vigore nel nostro Paese: un risultato possibile attraverso l’introduzione nel Codice penale di specifici delitti (dall’inquinamento al disastro ambientale) sulla falsariga di quanto previsto dalla direttiva comunitaria 2008/99/CE e da diversi disegni di legge d’iniziativa parlamentare, e la contestuale depenalizzazione di altre fattispecie previste dall’attuale normativa;
  2. rendere pienamente operativa la nuova classificazione del delitto di attività organizzata di traffico illecito di rifiuti, prevedendo, come per tutti gli altri delitti di competenza delle Procure distrettuali antimafia, l’utilizzo di intercettazioni telefoniche e ambientali in presenza di sufficienti indizi di reato, e non gravi com’è attualmente, e prolungando fino a un anno i termini per le indagini preliminari;
  3. prevedere una serie di modifiche normative finalizzate a rendere più efficaci, anche dal punto di vista della sostenibilità economica, le procedure di sequestro di rifiuti ai sensi dell’art.259 o dell’art.260 del D. Lgs.152/2006 presso aree portuali e aeroportuali;
  4. sollecitare, come previsto dalla già citata direttiva comunitaria 2008/99/CE, l’introduzione di sanzioni adeguate per quanto riguarda la gestione e la spedizione illecita di rifiuti in tutti i Paesi dell’Unione europea, facendo tesoro dell’esperienza accumulata in Italia, dal punto di vista legislativo e giudiziario grazie all’introduzione del delitto di attività organizzata di traffico illecito di rifiuti;
  5. rafforzare e rendere costante l’azione di contrasto dei traffici internazionali di rifiuti da parte dell’Organizzazione mondiale delle Dogane.
  6. rafforzare in materia di prevenzione e contrasto dei traffici illeciti di rifiuti, e  più in generale dei fenomeni di criminalità ambientale transnazionale, l’attività svolta da organismi europei, quali Europol e Eurojust, e internazionali, come Interpol e Unicri.

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