Il disegno di riforma è imperniato sui seguenti elementi:
– la costituzione di un sistema catastale che contempli assieme alla rendita (ovvero il reddito medio ordinariamente ritraibile al netto delle spese di manutenzione e gestione del bene), il valore patrimoniale del bene, al fine di assicurare una base imponibile adeguata da utilizzare per le diverse tipologie di tassazione;
– la rideterminazione della classificazione dei beni immobiliari;
– il superamento del sistema vigente per categorie e classi in relazione agli immobili ordinari, attraverso un sistema di funzioni statistiche che correlino il valore del bene o il reddito dello stesso alla localizzazione e alle caratteristiche edilizie;
– il superamento, per abitazioni e uffici, del “vano” come unità di misura della consistenza a fini fiscali, sostituendolo con la “superficie” espressa in metri quadrati;
– la riqualificazione dei metodi di stima diretta per gli immobili speciali”.
“Una delle ragioni delle discrasie evidenziate – si legge nel documento – è riconducibile alla circostanza che le rendite catastali sono state rivalutate nel 1990 con riferimento al biennio 1988-1989. L’inadeguatezza del sistema dipende dal fatto strutturale che il sistema a categorie e classi è fermo al periodo di “costruzione” del catasto urbano.
La denominazione e la classificazione delle unità immobiliari non è più adeguata ai tempi. Inoltre, il classamento, ovvero l’operazione di classificare in una categoria ed in una classe di valore un bene immobile ordinario, è rimasto quello iniziale delineato dall’originario impianto normativo del catasto e gli unici aggiornamenti sono riconducibili a comunicazioni effettuate dai soggetti interessati, in occasione di attività di ristrutturazioni e variazioni edilizie.
Questo stato di fatto ha determinato ulteriori iniquità all’interno dei singoli comuni. Tipicamente abitazioni classate come “popolari” lo sono rimaste nel tempo, anche se oggi, pur essendo ubicate in zone centrali, il loro valore è di fatto più elevato di edifici di “civile abitazione” ubicati in zone semicentrali o, addirittura, periferiche”.
L’applicazione della riforma non si prospetta facile, per esempio, nel caso dell’Imu, aliquote fondate sui valori dell’Osservatorio immobiliare, e opportunamente abbassate rispetto alle attuali per evitare di gonfiare ulteriormente il gettito, porterebbero aumenti anche del 240% nel centro storico di alcune metropoli e sconti fino al 70-80% in alcune città medio piccole, soprattutto del Centro-Nord dove i valori fiscali sono stati aggiornati più di recente.
Monti ha respinto l’idea che dopo la manovra “la tassazione sia maggiore di prima”, rimarcando anche che le detrazioni per l’abitazione principale azzerano il conto per “sei milioni di case”, ma sugli altri immobili il rischio rincari è forte (la loro entità dipende anche dai comuni, che però dopo la manovra devono far fronte a una stretta ulteriore delle risorse a loro disposizione) e si fa particolarmente pesante per appartamenti in affitto, negozi e imprese. Tra i porimi commenti alla riforma citiamo il “no alle nuove tasse sulla casa” del Pdl e la richiesta del leader Cisl, Raffaele Bonanni, di “tassare i patrimoni immobiliari, e con le risorse ottenute scalare le tasse a lavoratori e pensionati”.
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