La Corte di conti torna organo di controllo nei bilanci degli enti locali. È questa la novità più significativa, sul fronte della pubblica amministrazione, contenuta nel “decreto taglia-spese”, approvato ieri dal Consiglio dei Ministri. Il governo ha insomma voluto dare un giro di vite alle casse degli uffici pubblici, in seguito agli scandali esplosi in diverse regioni italiane, in particolare nel Lazio e in Sicilia. La grande novità è che la magistratura contabile vigilerà sull’erogazione dei fondi anche da parte delle Regioni a statuto speciale. Nel decreto, la linea del governo è stata ferma: per chi non ha i conti in regola e tiene i bilanci a posto, stop all’80% delle erogazioni centrali, fatte salve quelle inerenti alla sanità e al trasporto pubblico, per non far ricadere effetti negativi sulle spalle dei cittadini. La stretta del governo prende le mosse dalla Riforma del Titolo V della Costituzione, che aveva assegnato alle amministrazioni territoriali nuove competenze e finanziamenti erariali. L’ultimo dato disponibile sui bilanci di previsione delle Regioni, però, parla di un deficit totale stimabile in 208,4 miliardi di euro. Secondo quanto incluso nel testo ratificato ieri dal Consiglio dei Ministri, la Corte dei conti avrà dunque un’area di intervento e di sanzione più vasta rispetto al passato, con potere di esercizio di controllo di legittimità preventivo sugli atti concernenti la finanza pubblica. La Corte terrà d’occhio anche i rendiconti dei gruppi consiliari, valutando con cadenza semestrale i margini decretati dagli enti a copertura delle linee di spesa. A supporto della Corte, poi, potrà intervenire tanto la Guardia di Finanza, quanto i Servizi ispettivi di Finanza pubblica della Ragioneria generale dello Stato. Insomma, a stretto giro dal grido d’allarme sulla spirale negativa per lo stato comatoso dell’economia in Italia, stante la zavorra di una pressione fiscale opprimente (intorno al 45%) e una crescita a dir poco contenuta, soffocata dalle maglie del fisco, la Corte dei conti resta alla ribalta. Ora, la magistratura viene chiamata direttamente a intervenire anche sull’utilizzo delle finanze pubbliche in seno agli enti locali e, in particolare, ai gruppi consiliari rappresentati nelle assemblee territoriali. Per questi, in particolare, è stato poi definito come i cosiddetti “monogruppi”, cioè le fazioni politiche consistenti di un solo esponente in Consiglio, non riceveranno più i contributi centrali, qualora essi si vengano a costituire a legislatura in corso. Resta, però, una deroga: quella, cioè, ai monogruppi che saranno il prodotto della consultazione elettorale: in tal caso, tutto resterà com’è e anche a loro verranno elargiti finanziamenti. Sui quali, però, come detto vigilerà con attenzione la Corte dei conti, che si esprimerà anche sulle proposte di delibera di giunta e di consiglio diramate dagli enti locali, qualora queste non incontrino un’acclarata copertura finanziaria. Il controllo, poi, dovrebbe estendersi anche alle società partecipate e le varie Corti regionali interverranno al fine di mantenere i pareggi di bilancio, in caso di necessità. Per chi non rispetta gli standard di spesa e di controllo, scatterà una sanzione pecuniaria per gli amministratori, consistente in un volume da cinque a venti volte la retribuzione a seconda della gravità dell’omissione compiuta. La stretta, insomma, parte dallo spesometro: non solo per i contribuenti, ma anche per gli enti locali.
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