I SETTORI PIU’ COLPITI
È la sanità il settore “maggiormente esposto al rischio di corruzione per ragioni di ordine finanziario”. Uno dei motivi, stando alla Commissione sulla prevenzione del fenomeno corruttivo, è “l’ingente spesa pubblica, accresciuta negli ultimi due decenni, con l’aumento significativo della spesa regionale rispetto a quella dello Stato e degli enti locali”. “Grandi quantità di denaro – si legge ancora nel documento – sono gestite con l’assunzione di decisioni amministrative, che si rinnovano frequentemente, perciò esposte ai tentativi di condizionamento illecito, che possono assumere varie forme: spese inutili, contratti conclusi senza gara, gare svolte in modo illegale, assunzioni e inquadramenti illegittimi, falsità e irregolarità nella prescrizione di farmaci e simili, inadempimenti e irregolarità nell’esecuzione dei lavori e nella fornitura di beni”. Tra i rimedi suggeriti dalla Commissione “un maggior rigore nella individuazione dei requisiti per la nomina dei direttori generali, con adeguata motivazione ed elaborazione di un albo o di un elenco, tenuto dal ministero della sanità o da altra autorità nazionale, che restringerebbe la scelta delle autorità regionali tra i soggetti i cui requisiti siano stai preventivamente accertati”. Nella direzione tracciata – si legge nel documento – “si è posto anche il Governo con il recente dl Balduzzi” con le nomine dei dg delle aziende e degli enti del Servizio sanitario regionale fatte privilegiando sopratutto il merito. Anche gli appalti pubblici, per la loro dimensione economica, hanno una “capacità attrattiva” molto forte rispetto alle pratiche corruttive. Bastano pochi numeri per rendere l’idea. “Nel 2011 – si legge – il mercato degli appalti pubblici ha comportato una spesa di 106 miliardi di euro (iva esclusa), pari a circa l’8,1% del Pil: il 31% per lavori, il 41% per servizi, il 28% per forniture: 1.236.000 gli appalti fino a 40.000 euro per un importo di circa 5,3 miliardi; 128.000 le procedure perfezionate tra 40.000 e 150.000 euro per un importo pari a circa 8,3 miliardi di euro e 60.000 le procedure completate per la fascia di importo superiore a 150.000 euro, per un impegno di spesa pari a 92 miliardi di euro”. Il Rapporto sollecita anche l’”elaborazione di procedure per facilitare la segnalazione di atti sospetti di corruzione, incoraggiando l’uso di protettivi canali di denuncia facilmente accessibili” e l’adozione di “meccanismi di protezione efficaci, ad esempio con l’individuazione di un organismo specifico che abbia la responsabilità ed il potere di ricevere ed esaminare le denunce di ritorsione e/o di indagini improprie”. A chi non denuncia episodi concussivi o a chi paga la tangente, andrebbero estese “le misure espulsive e sospensive che Confindustria ha già adottato nei confronti di chi non denuncia di aver subito un’estorsione o altro delitto che, direttamente o indirettamente, abbiano limitato l’attività economica a vantaggio di imprese o persone riconducibili ad organizzazioni criminali”.
LE RICETTE
“Non conferibilità di incarichi dirigenziali per coloro che, per un certo periodo di tempo, anteriormente al conferimento, abbiano svolto incarichi o rivestito cariche in imprese sottoposte a regolazione, a controllo o a contribuzione economica da parte dell’amministrazione” e “divieto di ricoprire cariche elettive e di governo a seguito di sentenze di condanna per talune fattispecie di reato”. Sono alcune “regole di integrità” su “incompatibilità, incandidabilità e ineleggibilità”, suggerite dalla Commissione. La non conferibilità di incarichi dirigenziali – si legge nel documento – è prevista anche nei confronti di chi “ha fatto parte di organi di indirizzo politico, ha rivestito incarichi pubblici elettivi ed è stato candidato alle stesse cariche o ha rivestito cariche in partiti politici”. E ancora, rotazione degli incarichi “nelle fasi procedimentali più a rischio”; monitoraggio dei “legami tra l’amministrazione e i soggetti che alla stessa si rapportano”; obblighi di informazione “per il dirigente che vigila sul funzionamento del piano”. Alle “regole di integrità” su incompatibilità, incandidabilità e ineleggibilità, si aggiungono i codici di comportamenti nel settore pubblico, per dipendenti e dirigenti, con una integrazione “delle ipotesi di licenziamento disciplinare” per chi si macchia di reati contro la pubblica amministrazione o è legato ad associazioni di stampo mafioso. Si prevedono, poi, “adeguati meccanismi di trasparenza”, anche attraverso la pubblicazione su internet delle amministrazioni interessate, per consultare i procedimenti disciplinari attivati e conoscerne l’esito (“nel rispetto della privacy”), o avere visione “dei dati reddituali e patrimoniali, almeno delle categorie dirigenziali” e dei “dati relativi ai titolari di incarichi pubblici”. Da rendere “trasparenti” anche “le forme di utilizzo delle risorse pubbliche”.
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