Doveva concludersi oggi l’esame del Def, iniziato nei giorni scorsi al Senato e che ha portato in 48 ore frenetiche alla concertazione con le parti sociali per la stesura di un testo concordato tra i vari attori coinvolti. Invece, vista la fase concitata del frangente politico, l’impressione ormai certa è che si vada verso un ulteriore slittamento al fine di coinvolgere nella discussione anche il futuro governo, che dovrebbe nascere nelle prossime ore. Stessa fine potrebbe fare il decreto che sblocca 40 miliardi di pagamenti per la pubblica amministrazione nei confronti delle imprese.
Approvato dal Consiglio dei Ministri nei giorni precedenti l’elezione del Presidente della Repubblica, quando, cioè, al timone erano stati temporaneamente avanzati i saggi di Napolitano, siamo al rush finale del Documento di programmazione economica e finanziaria.
Il calendario degli incontri è stato messo a punto successivamente alle approvazioni dalle due commissioni speciali che hanno adottato i provvedimenti più urgenti tra cui lo stesso Def e il pagamento dei debiti della p.a. verso le imprese.
Così, gli organi consultivi di Camera e Senato si sono accordati per iniziare dalle associazioni di imprenditori e sindacati, ricevute lunedì, cui ha fatto seguito la rappresentanza Anci, Bankitalia, Corte dei conti, Istat e Cnel. Naturalmente, parte in causa anche l’attuale Ministro dell’economia atteso a porre la sua firma in quello che, con ogni probabilità, sarà il suo ultimo atto da titolare del dicastero.
Dunque, gli incontri in programma per la stesura partecipata di un provvedimento cruciale soprattutto per i mesi a venire e per la capacità dello Stato di fare fronte alle emergenze economiche sono giunti al termine, ma il provvedimento è al momento congelato per essere posto all’esame di un esecutivo fortemente voluto dal Capo dello Stato in prima persona.
A questo punto, il ponte del 25 aprile, individuato per mettere a punto il testo nella sua versione finale, che doveva essere presentato al più tardi lunedì, quando in Aula era fissato il dibattito sul Def 2013, potrà essere un periodo interlocutorio in vista di un’analisi più approfondita nella settimana successiva.
Ma vediamo nel dettaglio le osservazioni al Def di associazioni e istituzioni.
ANCI
“I comuni italiani sono malati terminali e con l’ingresso nel Patto di stabilità dei piccoli municipi la situazione nel 2013 si prospetta drammatica”, per questo il contributo richiesto ai comuni per il risanamento dei conti pubblici “non è più giustificabile”. È il grido di allarme lanciato ieri dal presidente dell’Anci, Graziano Delrio, nel corso dell’audizione dell’Associazione davanti alla Commissione speciale che sta analizzando il Documento di economia e finanza.
“Il comparto dei comuni – ha sottolineato Delrio – è in avanzo e non produce più effetti negativi sui conti. Negli anni dal 2007 al 2014 il contributo finanziario dei comuni al risanamento della finanza pubblica è stato di oltre 15 miliardi di euro. Deve essere chiaro che il prezzo sociale di queste manovre finanziarie è ormai insostenibile per la collettività e per le imprese”.
Oltre alle criticità, l’Anci ha però evidenziato come e dove intervenire. “Innanzitutto – ha spiegato Delrio – occorre integrare il Def 2012 con i prospetti relativi ai singoli comparti, sia in termini di analisi dei risultati conseguiti, sia con riferimento alle proiezioni tendenziali per gli anni 2012-2015″ e poi “esplicitare la distribuzione della manovra di bilancio per singolo comparto”, valutando “i contributi forniti al risanamento e l’impatto sui pesi relativi all’interno della Pubblica amministrazione”.
Inoltre Anci ha chiesto di fornire una valutazione “del grado di sostenibilità della manovra per ciascun comparto, proponendo appositi strumenti e indicatori” al fine di “individuare una soluzione certa e definitiva dei problemi posti dai Comuni in relazione al Patto di stabilità interno”.
Proprio su questo ultimo aspetto, Delrio ha rimarcato come il Patto di stabilità sia “strutturato nella forma di una costante manovra di finanza pubblica, che costringe i comuni a generare un saldo positivo di bilancio pari a 4,5 miliardi di euro, risorse chieste ai cittadini e non utilizzate per i servizi e gli investimenti locali’. Da qui la contrazione della spesa per investimenti che, ha ricordato il presidente Anci, “ammonta, negli scorsi 5 anni, al 23 per cento. Per non aumentare questa percentuale – ha quindi concluso – occorre cambiare radicalmente impostazione”.
Tutte le osservazioni al Def, l’associazione le ha sintetizzate in un documento presentato alla Commissione, dove si chiede: di integrare il Def 2012 con i prospetti relativi ai singoli comparti, (in termini di analisi dei risultati conseguiti e di proiezioni tendenziali per gli anni 2012-2015); di esplicitare la distribuzione della manovra di bilancio per singolo comparto, la valutazione dei contributi forniti al risanamento e l’impatto sui pesi relativi all’interno della pubblica amministrazione; di fornire una valutazione del grado di sostenibilità della manovra per ciascun comparto e, infine, di individuare una soluzione certa e definitiva dei problemi posti dai Comuni in relazione al Patto di stabilità interno.
UPI
“Governo e Parlamento devono impegnarsi per dare una prospettiva di sviluppo coerente e stabile alle istituzioni locali”. Lo ha detto il Presidente del Consiglio Direttivo dell’Upi, Leonardo Muraro, intervenendo ieri a rappresentare le Province nell’audizione con le Commissioni Speciali di Camera e Senato sul Def 2013 e Programma Nazionale delle Riforme. “Solo così – ha detto Muraro – si potrebbe realizzare una ripresa degli investimenti nei territori come volano di una ripresa più generale dell’economia italiana”. Muraro ha poi esortato a ridefinire un governo più funzionale delle aree vaste, sottolineando che “un livello di governo intermedio tra Comuni e Regioni è presente in tutti i grandi paesi europei”, mentre in Italia “da un lato ci sono le Province, come enti autonomi a diretta legittimazione democratica prevista dalla Costituzione” e dall’altro gli Uffici dell’Amministrazione statale periferica e una molteplicità di strutture, enti e società create dalla legislazione statale e regionale”. >> Documento Upi consegnato in audizione
Banca d’Italia e Corte dei conti
Ieri anche la Banca d’Italia è stata in audizione al Parlamento per dare il suo giudizio sul Def: il documento è promosso nella sostanza, anche se Palazzo Koch sprona il prossimo governo a fare di più per la crescita.
È stato il direttore centrale della Ricerca Economica della Banca d’Italia, Daniele Franco, a disegnare con nettezza l’impatto sociale dell’alto livello delle tasse: la pressione fiscale al 44% è la più alta degli ultimi 50 anni e supera di 3 punti la media degli altri Paesi dell’euro, inoltre, combinata con “l’elevato livello di evasione fiscale rende il carico sui contribuenti onesti ancora più ingente” creando anche un “ostacolo alla crescita”.
Sui debiti della pubblica amministrazione la Banca d’Italia è stata chiara. “Alla ripresa dell’attività produttiva può fornire un apporto significativo” il provvedimento che restituirà i soldi alle aziende. E gli importi previsti ad oggi, 40 miliardi di euro, non bastano. “Le nostre stime erano di ammontare di circa 90 miliardi, di cui 11 già ceduti alle banche anche se in pro-soluto. Quindi dei 90 miliardi una sessantina sono debiti anomali rispetto ai tempi di pagamento fissati dalla direttiva europea”. Il provvedimento in esame prevede 40 miliardi di rimborsi, bisognerà fare in modo di restituirne altri 20.
Sul tappeto del confronto parlamentare, che affronta anche il nodo delle nuove manovre da attuare dopo il 2015, c’é l’IMU. Bankitalia chiede al Governo – che nel Def aveva delineato un doppio scenario con e senza l’imposta – di “dissipare incertezze” che peserebbero sui mercati. Ma l’avvertimento è già arrivato dall’Ue, tanto che il Tesoro presenta una maxi-errata corrige al Def, spiegata con i tempi stretti tra le elezioni e il varo, consegnando alla commissione speciale del Senato un’integrazione al testo che sposa la previsione che l’attuale regime dell’Imu sia «permanente».
Se non fosse “permanente”, ha spiegato il sottosegretario all’Economia Gianfranco Polillo illustrando il senso dell’”integrazione” disposta dal Governo, dal 2015 “sarà necessario trovare le coperture”. Nel Def inizialmente consegnato dall’Esecutivo erano infatti contemplati due scenari che si differenziavano a partire dal 2015: il primo secondo cui l’attuale regime Imu sia temporaneo e il secondo che rende l’imposta permanente. Dopo la sollecitazione di Bankitalia, convinta che una tassazione Imu “temporanea” provocherebbe “un peggioramento dei saldi per circa 0,8 punti percentuali del Pil l’anno dal 2015 e, di conseguenza, la necessità di reperire risorse aggiuntive di tale ammontare per raggiungere gli obiettivi programmati», la scelta di stabilizzare la tassa sugli immobili.
La linea Bankitalia su gettito Imu e manovre correttive a partire dal 2015 trova d’accordo anche la Corte dei conti, che sempre nel pomeriggio di ieri, sentita dalle Commissioni speciali, conferma come nell’impostazione del Def non si ravvisino “esigenze di nuove manovre correttive dei conti pubblici, se non a partire dal 2015 e condizionate nella dimensione dal mantenimento o meno del gettito Imu”. Nel testo presentato dal presidente della Corte dei conti, Luigi Giampaolino, il magistrato contabile ripropone “la linea che la Corte sostiene da tempo: il livello crescente dello stock di debito pubblico non consente di interpretare in modo men che rigoroso il sentiero di risanamento che conduce al pareggio di bilancio. In presenza di una ridotta prospettiva di recupero dell’attività economica, infatti, appare indispensabile non discostarsi dagli attuali livelli della spesa pubblica”.
Manovre in arrivo
I conti sono sul filo. Quest’anno sono al 2,9% del deficit, anche se si raggiungerà il pareggio strutturale tenendo conto della scarsa crescita. Così – spiega la Corte dei conti – qualsiasi modifica, dalla Cig alla sterilizzazione dell’Iva, andrà coperta per evitare rischi. Anche modifiche dell’Imu richiederebbero una manovra.
Ma di certo correttivi sono attesi dopo il 2015 per mantenere il pareggio. Il Def prevede una manovra di 0,6 punti di Pil tra il 2015 e il 2017. Bankitalia ritiene invece che sarà necessario un intervento di almeno un punto. Il ministro Grilli invece minimizza: 0,2 punti l’anno – spiega – non richiedono interventi strutturali ma solo “un percorso di manutenzione”. Già, perché anche se la strada è stretta e non senza pericoli, “dopo un anno di notevoli sacrifici, ora l’Italia è un Paese più solido”.
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