Un Senato non elettivo, senza indennità, 150 persone, 108 sindaci dei comuni capoluogo, 21 presidenti di regionee 21 esponenti della società civile che vengono temporaneamente cooptati dal Presidente della Repubblica per un mandato: sono questi i tratti fondamentali che nel disegno di Renzi, condiviso anche da Verdini e Fitto, dovrebbe avere il nuovo Senato, o meglio, la Camera delle autonomie che “non vota il bilancio, non dà la fiducia, ma concorre all’elezione del presidente della Repubblica e contribuisce all’elezione dei rappresentanti degli organi europei“.
Una riforma su cui, ha detto ieri il sindaco Matteo Renzi dal palco di un convegno di Confindustria a Firenze, “c’è il consenso dei principali partiti”. “Non basta più accarezzare i problemi, occorre risolverli” – ha tuonato il segretario Pd – ”e la situazione del Parlamento permette una straordinaria occasione, di realizzare riforme chiare”.
E la Direzione del Pd di ieri pomeriggio si è concentrata proprio sulla riforma del Senato, oltre che su quella del Titolo V, che “sarà presentata il giorno in cui la Camera approverà la riforma elettorale” perché il segretario ha bisogno dei voti di Forza Italia se vuole evitare che la riforma venga trascinata a fondo.
“C’è un’intesa con le principali forze politiche e questo doppio lavoro dopo il 15 febbraio sarà affidato alla discussione parlamentare”, ha detto Renzi illustrando il pacchetto di riforme, “sul superamento del Senato si partirà al Senato, sul Titolo V alla Camera. È una poderosa iniziativa costituzionale”. Poi sulla Camera delle autonomie in cui dovrebbe trasformarsi il Senato, Renzi ha aggiunto che “per la conformazione storica, geografica e di politica culturale dell’Italia, deve essere incentrata più sui sindaci che sui consiglieri regionali. Ma non è una bandiera su cui imporre il verbo: si apra una discussione”.
Province e città metropolitane
E se sulla riforma del Senato c’è l’accordo di tutti i partiti dell’arco costituzionale (ipse dixit), non può dirsi lo stesso per le Province, la cui abolizione con il d.d.l. Delrio langue in Senato, ma “il nostro obiettivo – ha detto il segretario del Pd al Convegno di ieri – è che il 25 maggio non si voti per loro”.
E sempre da Firenze il segretario del Pd ieri non ha risparmiato le città metropolitane, “una barzelletta nella discussione politico istituzionale […] Sono vent’anni che sono state costituzionalizzate con il Titolo V, ma sono rimaste un oggetto misterioso. Anzi il ruolo delle città è stato mortificato dalle recenti riforme ed è mancato il passaggio di poteri verso di loro”.
“È ormai non più rinviabile l’approvazione definitiva del d.d.l. Delrio che istituisce le città metropolitane”, ha affermato il presidente dell’Anci Piero Fassino, anche lui ospite a Firenze del convegno “Le città metropolitane: una riforma per il rilancio del Paese”.
“Le città metropolitane – ha spiegato Fassino – rappresentano il vero motore della crescita, il principale centro di produzione del Pil nazionale e il più vasto aggregatore di popolazione. Per questo, oggi più che mai, è necessario dare finalmente ai centri di area vasta un inquadramento giuridico, organizzativo e di competenze ben definito, che tenga nella dovuta considerazione le fondamentali funzioni svolte da queste aree: dalla pianificazione del trasporto pubblico locale alle questioni urbanistiche, dall’emergenza abitativa alla sicurezza urbana. Le norme contenute nel d.d.l. Delrio, già approvato dalla Camera, vanno inoltre – ha aggiunto Fassino – nella direzione di una maggiore efficienza e semplificazione, prevedendo il generale riassetto delle province e incentivando le unioni di comuni. La semplificazione istituzionale, unita al nuovo assetto delle competenze dei diversi livelli di governo locale, sono precondizioni essenziali per favorire efficienza burocratica, facilitare la crescita ed eliminare inutili sovrapposizioni di competenze”, ha concluso il presidente dell’Anci.
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