ARAN, una proposta organica per la riforma della dirigenza

4 Aprile 2014
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L’ARAN, con comunicato del 31/03/2014 pubblica l’intervista l Professore ordinario di Economia delle aziende e delle amministrazioni pubbliche e Prorettore Università Bocconi, Giovanni Valotti. Qui di seguito i contenuti:

Il principio di trasparenza nella pubblica amministrazione, di fondamentale importanza per l’effetto responsabilizzante riguardo l’operato dei pubblici uffici, secondo lei è lo strumento più adatto a prevenire fenomeni di cattiva gestione e, nello stesso tempo, sollecitare il miglioramento progressivo dei servizi resi, o altre misure sarebbero più incisive e più vantaggiose?

La trasparenza è l’alternativa alla concorrenza dove non c’è mercato. Se esiste una concorrenza, le imprese sono spinte a migliorare l’efficienza altrimenti escono dal mercato e falliscono.

Nel caso della pubblica amministrazione, dove i servizi sono gestiti sostanzialmente in monopolio, il rendere conto in modo trasparente dell’utilizzo delle risorse e dei risultati raggiunti, pone sull’ente una forma di pressione, simile a quella che nel mercato è esercitata dalla concorrenza.

Questo è positivo sia per la corretta gestione, per evitare che avvengano illeciti, che per un migliore uso delle risorse pubbliche e uno sviluppo della qualità dei servizi.

Tutto ciò a condizione che la trasparenza sia sugli aspetti sostanziali e non semplicemente amministrativi o formali; è sicuramente utile pubblicare i procedimenti amministrativi, i curricula, le retribuzioni, ma è una condizione necessaria, ma non sufficiente.

La trasparenza vera è sul buon uso delle risorse pubbliche, sul fatto che i risultati promessi si raggiungano davvero, sul fatto che le opere pubbliche siano consegnate in tempo oppure, se ciò non accade, spiegandone il perché.

Quindi la trasparenza amministrativa deve essere accompagnata, necessariamente e imprescindibilmente, da una trasparenza di sostanza.

L’Italia rappresenta lo specchio di quanto si sta verificando nei piani più alti della classe amministrativa. Confusione politica, incertezze programmatiche e crisi economica stanno orientando l’intera nazione verso una tacita sfiducia nei confronti di tutti i compartimenti istituzionali. All’interno di questo quadro d’unione, il Job Act di Matteo Renzi urta l’azione della dirigenza spingendo verso l’eliminazione dell’incarico a tempo indeterminato. Quindi mobilità, pagelle e stipendio, subordinati ai risultati conseguiti. Pensa sia questo l’iter che può produrre una classe dirigente più attenta, responsabile e preparata?

Abbiamo presentato alla Presidenza del Consiglio dei ministri una proposta organica di riforma della dirigenza dei ministeri che ha come obiettivo quello di sbloccare una situazione ingessata, facendo emergere i dirigenti più competenti e meritevoli.

Per questo una maggiore flessibilità del rapporto di lavoro è importante ma non sufficiente.

Bisogna combinare modalità più flessibili di impiego con una valutazione seria ed oggettiva dei risultati, con sistemi premianti e di carriera legati alle competenze dimostrate e al track record professionale, ossia ai risultati raggiunti nella propria esperienza professionale, evitando di promuovere solo incarichi fiduciari o di appartenenza politica.

In particolare, nella nostra proposta suggeriamo di rivedere in modo integrato i sistemi di reclutamento, selezione, attribuzione degli incarichi, valutazione, di incentivare la mobilità interna alle pubbliche amministrazioni, di investire sulla formazione dei dipendenti pubblici e di costruire un database strutturato delle competenze dei dirigenti pubblici.

Tutte queste misure insieme possono determinare un cambiamento effettivo molto più efficace rispetto ad una nuova norma sulla dirigenza o i dipendenti pubblici.

Le misure fissate dal decreto legge, in materia di lavoro, su apprendistato giovanile e contratti a termine, sono destinate a produrre effetti diretti e la sequenza delle otto proroghe in 36 mesi senza causale incoraggia. Lei, da professore universitario, come vede questi provvedimenti e cosa si sentirebbe di consigliare ai giovani?

Dal mio punto di vista tutte le misure che flessibilizzano e facilitano l’entrata nel mercato del lavoro sono una buona notizia, soprattutto per i giovani.

Oggi molte delle resistenze ad assumere i giovani nelle aziende o nella pubblica amministrazione sono legate al fatto che questa diventa, per le stesse, una scelta irreversibile e di lunga data.

Nei panni di un giovane preferirei avere un impiego subito, anche a termine, perché questo aiuta a maturare un’esperienza, costruisce un curriculum e da lì, dimostrando competenze e capacità, cercherei di stabilizzare il rapporto di lavoro.

Questo, all’interno di un mercato del lavoro profondamente cambiato, nel quale l’assunzione a tempo indeterminato, a cui erano abituati i nostri genitori, oggi non è più l’unico obiettivo.

D’altra parte non bisogna creare una eccessiva precarietà. C’è la necessità, perciò, di combinare modalità flessibili di entrata nel mercato del lavoro, anche con contratti a termine, con la possibilità, per i giovani meritevoli, di stabilizzare il rapporto di lavoro, non come un diritto acquisito, ma come il risultato di un merito dimostrato.

Esuberi, blocco del turn over, blocco della contrattazione che si protrae ormai da 5 anni; abbiamo un sistema regolativo fondato sulla contrattazione collettiva e i contratti collettivi non si stipulano più. È evidente la necessità improrogabile di un intervento di riforma radicale che riqualifichi la pubblica amministrazione e valorizzi i suoi lavoratori. Come vede i tagli annunciati dal Commissario Cottarelli? Siamo alla vigilia di un’attesa che, magari poi, produrrà le solite ricette?

La situazione economica nazionale, in particolare lo stato delle finanze pubbliche, richiede una grande attenzione sul controllo del costo del lavoro nel settore pubblico, poiché questo costituisce una voce importante della spesa pubblica.

In realtà spererei che ai tagli, purtroppo necessari, si accompagni una logica di investimento. Nella nostra proposta rientra l’idea di un turnover massiccio, favorendo l’uscita dal settore pubblico delle persone più anziane e meno competenti, in modo da liberare i posti per le persone più giovani. La manovra avrebbe un impatto positivo non solo sulla qualità dei dipendenti ma anche sulla spesa, dal momento che i giovani hanno un costo per l’amministrazione più basso rispetto alle persone con una lunga carriera alle spalle.

Se si riuscisse a stimolare questo turnover, anche con misure legislative nuove, si produrrebbe sia un ricambio, positivo in sé, che un contenimento della spesa pubblica.

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