Approvare come testo base il d.d.l. costituzionale del governo che riforma Senato e titolo V. Con al fianco un ordine del giorno che metta nero su bianco alcune modifiche condivise al testo. È la mediazione che dovrebbe concretizzarsi nelle prossime ore in Commissione affari costituzionali a Palazzo Madama. Il governo è in pressing da giorni per raggiungere l’obiettivo: incassare oggi un primo via libera parlamentare al proprio progetto di riforma.
La mediazione continua a essere tesa, ma c’è ottimismo nel Pd che si riuscirà ad arrivare al voto su un testo che, riconosce il Ministro Maria Elena Boschi, è solo “un punto di partenza”. Il governo non va di fretta “per paura di discutere” ma perché, se non si vuole “perdere il legame diretto con gli elettori”, a un certo punto “bisogna decidere”. Lo ha spiegato ieri Matteo Renzi ai costituzionalisti invitati dal Pd a un seminario sulle riforme convocato prima che inizino le votazioni in Parlamento, proprio per dare il segno tangibile della disponibilità alla discussione, al dialogo. Sostenere che bisogna cambiare, sottolinea il premier, “non è ne autoritarismo nè esercizio violento della cosa pubblica”.
Non c’è “ansia di cambiamento a prescindere” ma la consapevolezza che le riforme istituzionali possono permettere all’Italia di recuperare “credibilità in Ue”. Dunque, se Renzi ha accettato un po’ a malincuore di spostare il via libera dell’Aula a dopo le europee, si lavora ora “a pieno ritmo”, spiega Boschi, perché si possa raggiungere l’obiettivo, non scontato, del via libera in prima lettura entro il 10 giugno. E il primo passo per il governo è ottenere che il suo ddl venga domani adottato dalla commissione come testo base.
Sul punto c’è il via libera di massima di tutti i partiti della maggioranza. E anche Forza Italia, nonostante le sempre più accese critiche di Silvio Berlusconi, non chiude la porta. La condizione che alleati, forzisti e anche la minoranza Pd pongono è che prima dell’adozione del ddl del governo come testo base venga votato un ordine del giorno che metta nero su bianco alcune modifiche condivise, su cui c’è l’apertura dello stesso Renzi: la riduzione del numero dei 21 senatori scelti dal presidente della Repubblica e della rappresentanza dei sindaci nel nuovo Senato, un numero di senatori per ogni Regione proporzionale alla sua grandezza e una clausola di supremazia “a geometria variabile” dello Stato nei confronti delle Regioni.
C’è però un punto dolente ancora irrisolto ed è quello del metodo di elezione dei senatori. Il governo resta fermo sulla posizione che debba trattarsi di un’elezione di secondo livello. E continua a proporre come mediazione che le singole Regioni decidano il metodo di scelta dei senatori tra i consiglieri. Ma Ncd guida il fronte di chi insiste nel chiedere che i consiglieri-senatori siano scelti in listini presentati alle elezioni regionali. Viste le posizioni, l’odg, di cui Anna Finocchiaro sta curando la stesura, potrebbe lasciare aperta più di una soluzione.
Di sicuro le trattative andranno avanti fino all’ultimo: “Noi aspettiamo di leggere il testo per decidere come votare”, spiega un senatore di Forza Italia. Intanto, un sostanziale via libera al progetto di riforma del governo arriva dai costituzionalisti invitati dal Pd a un seminario sul tema delle riforme. Ma anche se mancano le voci più ‘ostili’, come quelle di Rodotà e Zagrebelsky, nei trentuno interventi si sentono accenti critici. “Bisogna intervenire con pazienza e puntualità, non andare con la sciabola”, avverte Ugo De Siervo. Rinviare alle Regioni il metodo di elezione “è un escamotage, non una soluzione”, dice Luciano Violante. “Le riforme non si fanno per risparmiare”, sottolinea Valerio Onida. Renzi prende appunti e tra le altre cose annota: “Berlusconi: presidenzialismo. Dopo”. E’ un punto fermo: per ora non se ne parla.
(Fonte: Ansa)
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