Pioggia di emendamenti sul d.d.l. riforme: è rischio ostruzionismo

Il voto finale potrebbe arrivare con due settimane di ritardo rispetto alla tabella di marcia annunciata dal governo

17 Luglio 2014
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La pioggia di emendamenti sulle riforme, quasi 8.000, presentati in Aula in chiave ostruzionistica da Sel e dai dissidenti di Forza Italia, ha scombussolato i piani del governo e dei relatori, che già erano a lavoro su alcune modifiche da inserire in Aula. Matteo Renzi e il Cavaliere non sono riusciti a piegare i frondisti di Pd ed Fi. E a questo punto, con il rischio concreto di un ostruzionismo senza fine, il problema dei tempi di approvazione del testodiventa prioritario. Intanto, sono in atto le manovre tra partiti per consolidare i due fronti pro e anti-riforme. Tra le curiosità le avances verso M5S sia di Sel che del Pd.

“Affrontiamo un giorno alla volta” ha detto il Ministro Maria Elena Boschi esprimendo bene l’atteggiamento del governo di fronte all’inaspettata valanga di emendamenti di Sel (6.000) e dei dissidenti di Fi (1.000) che obbligano a ripensare le strategie parlamentari, tenendo conto che sulle riforme costituzionali l’esecutivo non può intervenire ponendo la fiducia per accelerare. Boschi e i relatori, Anna Finocchiaro e Roberto Calderoli, avevano preso in mano il dossier delle possibili modifiche. Tra l’altro, i relatori hanno visto anche il segretario della Lega Matteo Salvini sulTitolo V, cioè sui poteri delle regioni.

Il primo obiettivo è non rimanere impantanati nella palude e oggi la Conferenza dei capigruppo prenderà alcune decisioni. “Nessuno pensi a contingentare i tempi” ha messo le mani avanti Loredana De Petris, capogruppo di Sel. Con le riforme costituzionali è difficile farlo, non ci sono precedenti, e men che meno il governo può mettere la fiducia. “Dovremo ricorrere a delle sedute notturne per consegnare le riforme alla Camera entro la pausa estiva”, ha suggerito Renato Schifani. E sì, perché non si parla più nemmeno della fine di luglio, ma dei primi di agosto. Oltretutto il calendario d’aula è intasato da altri provvedimenti del governo (quattro decreti e la delega sul lavoro). Quanto basta per temere anche un ingorgo di misure in scadenza che potrebbero ottenere una via preferenziale, per quanto riguarda il timing, rispetto al pacchetto riforme.

Il presidente del Senato Pietro Grasso vuole evitare forzature. La settimana in corso se ne andrà nella discussione generale e da lunedì si comincerà a votare, cercando delle tecniche che facciano cadere un po’ di emendamenti e trovando accordi politici. In tal senso è iniziato un corteggiamento a M5S, o almeno alle due anime del gruppo da parte di Sel e del Pd, che avrà un incontro sulla legge elettorale con una delegazione del Movimento di Grillo. Renzi non punta al sì dei grillini, ma ad un confronto su alcuni punti che li conduca a un atteggiamento non puramente ostruzionistico su cui invece li vuole trascinare De Petris, che in questi gironi prende sottobraccio i vari senatori Pentastellati per convincerli.

Ma i partiti che sostengono le riforme i problemi ce li hanno pure in casa, con i dissidenti di Pd e Fi. L’opposizione di questi ultimi prescinde dal merito delle riforme, e la loro è una iniziativa che vuol mettere in discussione la leadership di Berlusconi, il che rende più complicata una ricomposizione. Quanto ai dissidenti del Pd, ormai i rapporti, anche personali, nel gruppo sono davvero deteriorati, nonostante l’appello al reciproco rispetto da parte del presidente Luigi Zanda alla riunione di ieri. Gli interventi in Aula di Vannino Chiti, e soprattutto di Massimo Mucchetti, con le accuse a Renzi di voler fare il dittatore, potrebbero aver costituito un momento di rottura non più sanabile. Eloquenti le parole di Andrea Marcucci: “continuare ad accusare di nefandezze il proprio partito, il proprio Presidente del Consiglio, in sfregio alle decisioni assunte ripetutamente dal proprio gruppo parlamentare, è francamente troppo”.

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