DDL riforme, la Camera dice sì. Ora torna al Senato

Il testo approvato contiene la revisione del Titolo V della Costituzione e la riforma del Senato: tutte le novità

11 Marzo 2015
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La Camera ieri ha approvato in seconda lettura le riforme costituzionali, che ora tornano in Senato. A Montecitorio i sì sono stati 357, 125 i no e 7 gli astenuti. A favore hanno votato Pd, Area popolare (Ncd più Scelta civica), Per l’Italia- Centro democratico e Scelta civica. Contrari Forza Italia, Lega, Fdl-An, Alternativa libera e Sel.
Il testo approvato contiene la revisione del Titolo V della Costituzione e la trasformazione dell’attuale Senato, che si chiamerà Senato della Repubblica (e non delle ‘Autonomie’ come proposto inizialmente dal governo), non sarà più eletto direttamente, rappresenterà le istituzioni locali e sarà composto da 21 sindaci, 74 consiglieri regionali e 5 membri nominati per 7 anni dal presidente della Repubblica (e non più da 315 membri).

Durante il passaggio a Montecitorio sono stati quattro, in particolare, i temi su cui si è dibattuto: il superamento dei senatori di nomina presidenziale, innalzamento del quorum per l’elezione del capo dello Stato, iter legis e sindacato preventivo della Corte costituzionale sulle leggi elettorali (anche per l’Italicum). Con l’ok della Camera il testo tornerà al Senato per proseguire la ‘navetta’ costituzionale: da questo momento in poi potranno essere esaminate da Palazzo Madama solo le parti modificate dalla Camera. Il contestato articolo 2 (soprattutto dalla minoranza Pd), sull’elezione indiretta del futuro Senato, rimarrà nella versione attuale. Ecco come cambia il Senato e la prima parte della riforma a firma della ministra Maria Elena Boschi

Un voto segnato dalle polemiche all’interno dei principali gruppi parlamentari. Nel Pd, la minoranza vota a favore ma annuncia linea dura sull’Italicum. Alle critiche di esponenti dem risponde il ministro Boschi: “Ci confronteremo nelle prossime settimane. L’importante è non interrompere il percorso delle riforme”. Forza Italia vota no ma in 17 scrivono documento critico: “Il gruppo non è né unito né persuaso dalla linea che è stata scelta”. Sel vota mostrando copia della Costituzione. I grillini escono dall’aula contestando la linea del premier. Toninelli: “Rovinano la Carta, metodi fascisti”.

Renzi su Facebook: “Vicina fine bicameralismo, qualcosa si muove”
Dopo il voto di stamane alla Camera sulla riforma costituzionale “la fine del bicameralismo paritario è più vicina, l’Italia diventerà un paese più semplice, più giusto e più veloce”, scrive il presidente del Consiglio su Facebook. “Fino a qualche settimana fa nei media se si parlava di Jobs act era perché si dovevano raccontare le proteste di chi non lo voleva, ora che è in vigore si inizia a fare la contabilità delle assunzioni”, sottolinea, con riferimento alla riforma del  lavoro fatta dal governo. “C’è ancora molto da fare, lo sappiamo. E lo faremo – aggiunge – Ma intanto qualcosa si muove. E nell’Italia che era immobile da anni già questa è una notizia. Forza, che è davvero la volta buona”.

“Abc” della riforma, dal Titolo V al nuovo Senato

Un Senato composto da 100 senatori eletti dai Consigli regionali, con meno poteri nell’esame delle leggi; nuovo Federalismo, con abolizione delle materie di competenza concorrente tra Stato e Regioni e alcune competenze strategiche riportate in capo allo Stato.

Ecco i punti principali della riforma che la Camera ha votato in seconda lettura.

CAMERA – Sarà l’unica Assemblea legislativa e anche l’unica a votare la fiducia al governo. I deputati rimangono 630 e verranno eletti a suffragio universale, come oggi.

SENATO – Continuerà a chiamarsi Senato della Repubblica, ma sarà composto da 95 eletti dai Consigli Regionali, più cinque nominati dal Capo dello Stato che resteranno in carica per 7 anni. Avrà competenza legislativa piena solo sulle riforme costituzionali e le leggi costituzionali e potrà chiedere alla Camera la modifica delle leggi ordinarie, ma Montecitorio potrà non tener conto della richiesta. Su una serie di leggi che riguardano il rapporto tra Stato e Regioni, la Camera potrà non dar seguito alle richieste del Senato solo respingendole a maggioranza assoluta.

SENATORI-CONSIGLIERI: I 95 senatori saranno ripartiti tra le regioni sulla base del loro peso demografico. I Consigli Regionali eleggeranno con metodo proporzionale i senatori tra i propri componenti; uno per ciascuna Regione dovrà essere un sindaco.

IMMUNITA’: I nuovi senatori godranno delle stesse tutele dei deputati. Non potranno essere arrestati o sottoposti a intercettazione senza l’autorizzazione del Senato.

TITOLO V: Sono riportate in capo allo Stato alcune competenze come energia, infrastrutture strategiche e grandi reti di trasporto. Su proposta del governo, la Camera potrà approvare leggi nei campi di competenza delle Regioni, “quando lo richieda la tutela dell’unità giuridica o economica della Repubblica, ovvero la tutela dell’interesse nazionale”.

PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA: Lo eleggeranno i 630 deputati e i 100 senatori (via i rappresentanti delle Regioni previsti oggi).

Per i primi tre scrutini occorrono i due terzi dei componenti, poi dal quarto si scende ai tre quinti; dal settimo scrutinio sarà sufficiente la maggioranza dei tre quinti dei votanti.

CORTE COSTITUZIONALE: Cinque dei 15 giudici Costituzionali saranno eletti dal Parlamento: 3 dalla Camera e 2 dal Senato.

REFERENDUM: Serviranno 800.000 firme. Dopo le prime 400.000 la Corte costituzionale darà un parere preventivo di ammissibilità.

Potranno riguardare o intere leggi o una parte purché questa abbia un valore normativo autonomo.

DDL DI INIZIATIVA POPOLARE: Salgono da 50.000 a 250.000 le firme necessarie per presentare un ddl di iniziativa popolare.

Però i regolamenti della Camera dovranno indicare tempi precisi di esame, clausola che oggi non esiste.

LEGGE ELETTORALE – Introdotto il ricorso preventivo sulle leggi elettorali alla Corte Costituzionale su richiesta di un quarto dei componenti della Camera. Tra le norme provvisorie c’è anche la possibilità di ricorso preventivo già in questa legislatura per le leggi elettorali (es. Italicum) che verranno approvate dal Parlamento.

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