Quando la mafia appoggia le liste elettorali il consiglio comunale va sciolto

Consiglio di Stato, sez. III, 28.9.2015, n. 4529

1 Ottobre 2015
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La vicenda
Il Consiglio di Stato, con la sentenza n. 4529/2015, accoglie il ricorso in appello per la riforma della sentenza del TAR Lazio-Roma n. 4060/2015 e afferma la legittimità dello scioglimento del consiglio comunale per condizionamenti di tipo mafioso sulle elezioni comunali. 
La sentenza di primo grado aveva annullato il provvedimento di scioglimento del consiglio comunale, sul presupposto che “il materiale raccolto nel corso dell’istruttoria amministrativa, pur di particolare ampiezza e di estrema complessità, non consente di trarre una univoca interpretazione delle circostanze di fatto evidenziate, alla stregua di un criterio di congruenza, ragionevolezza e proporzionalità, quali indici di un fenomeno di infiltrazione mafiosa in atto, «considerato che i denunciati contatti con la criminalità organizzata hanno riguardato in primo luogo non l’amministrazione oggetto del provvedimento impugnato e la relativa maggioranza consiliare, bensì ambiti politici vicini a precedenti Gruppi politici oggi di minoranza, che le denunciate frequentazioni – essenzialmente di tipo personale e privato e quindi sostanzialmente estranee, salvo casuali ed occasionali momenti, all’esercizio di funzioni pubbliche – vanno inquadrate nella “fisiologica” possibilità di rapporti personali ed affettivi nell’ambito della ristretta comunità presente in un piccolo Comune, e che le affermate irregolarità dell’attività della struttura amministrativa comunale, in parte ancora da accertare ma, evidentemente, da contrastare in ogni caso, non sembrano però riconducibili ad un disegno unitario da cui possano evincersi fenomeni in atto d’infiltrazione mafiosa presso gli organi di direzione politica, ove non suffragate da ulteriori specifiche circostanze atte a dimostrare la coltivazione, o comunque la copertura, o comunque la mancata vigilanza, da parte dei nuovi vertici politici, di eventuali derive di contiguità della gestione degli uffici amministrativi comunali con la criminalità organizzata» (pp. 18-19 della sentenza impugnata)”.

La pronuncia del Consiglio di Stato
Il Consiglio di Stato non condivide le conclusioni cui è pervenuto il primo giudice, ritenendo piuttosto che “il quadro ricostruttivo vividamente rappresentato nella relazione prefettizia, sorretto da adeguata istruttoria e convincente motivazione, lasci pienamente emergere nel suo complesso […] l’esistenza di elementi concreti, univoci e rilevanti, che giustificano, ai sensi dell’art. 143 del t.u.e.l., lo scioglimento del consiglio comunale per il pesante condizionamento mafioso dei suoi organi elettivi e della sua stessa attività amministrativa in ogni settore della vita pubblica, nessuno escluso”.
La pronuncia si inserisce nell’ormai consolidato filone giurisprudenziale in base al quale “le vicende che costituiscono il presupposto del provvedimento di scioglimento devono essere considerate nel loro insieme, e non atomisticamente, e devono risultare idonee a delineare, con una ragionevole ricostruzione, il quadro complessivo del condizionamento mafioso (cfr., ex plurimis, Cons. Stato, sez. VI, 10.3.2011, n. 1547)”. In questa direzione assumono rilievo situazioni non traducibili in episodici addebiti personali ma tali da rendere, nel loro insieme, plausibile, nella concreta realtà contingente e in base ai dati dell’esperienza, l’ipotesi di una soggezione degli amministratori locali alla criminalità organizzata (vincoli di parentela o affinità, rapporti di amicizia o di affari, frequentazioni) e ciò pur quando il valore indiziario degli elementi raccolti non sia sufficiente per l’avvio dell’azione penale o per l’adozione di misure individuali di prevenzione (Cons. Stato, sez. III, 2.7.2014, n. 3340).
Nel caso di specie, ad avviso del Collegio, le risultanze istruttorie mettono ben in luce come, in occasione delle elezioni amministrative, si siano verificati coinvolgimenti e contatti tra alcuni candidati alla carica di sindaco e di consigliere comunale e i vertici delle famiglie mafiose locali che, di volta in volta e in ragione di accordi intrapresi con gli aspiranti amministratori locali, hanno determinato e condizionato la confluenza dei voti, l’elezione dei candidati a loro graditi nonché la nomina degli assessori.

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