Il Senato ha approvato l’articolo 31 del d.d.l. Boschi, che riscrive l’articolo 117 della Costituzione, vale a dire l’assetto federale dello Stato, con l’eliminazione delle materie di competenza concorrente tra Stato e Regioni. I sì sono stati 158, i no 89, gli astenuti 6.
Nella riforma del 2001 del Titolo V, all’articolo 117, venivano previste una serie di materie su cui era lo Stato ad avere la competenza legislativa, lasciando le altre alle Regioni, mentre su alcune c’era una competenza concorrente tra Stato e Regioni.
I conflitti di attribuzione tra lo Stato e le diverse Regioni sono stati in questi anni il maggior numero di cause che la Corte costituzionale ha dovuto affrontare.
Il ddl Boschi abroga le materie di competenza concorrente, e riporta in capo allo Stato alcune competenze. Tra esse la tutela dell’ambiente e dei beni culturali; la produzione, il trasporto e la distribuzione dell’energia; le infrastrutture strategiche e le grandi reti di trasporto di interesse nazionale; sistema nazionale della protezione civile.
In più nel nuovo articolo 117 c’è la cosiddetta clausola di salvaguardia dell’unità nazionale. Infatti “su proposta del Governo la legge dello Stato può intervenire in materie o funzioni non riservate alla legislazione esclusiva quando lo richiede la tutela dell’unità giuridica o dell’unità economica della Repubblica o lo rende necessario la realizzazione di programmi o di riforme economico-sociali di interesse nazionale”.
A compensare la centralizzazione di alcune competenze, c’è però l’approvazione di un emendamento di Francesco Russo (Pd), fatto proprio e riformulato dal governo, che amplia le materie che potranno essere devolute dallo Stato alle Regioni, purché esse abbiano i conti a posto. Potranno essere devolute l’organizzazione della giustizia di pace, l’istruzione, le politiche attive del lavoro e la formazione professionale, la valorizzazione dei beni culturali e paesaggistici, e il governo del territorio. L’emendamento di Russo aggiunge a tali materie le “disposizioni generali e comuni per la tutela della salute, per le politiche sociali” e il commercio con l’estero.
La proposta di ridurre le regioni
Ad animare il dibattito ieri ci ha pensato un ordine del giorno di Raffaele Ranucci che impegnava il governo a presentare una riforma che riduca il numero delle regioni, prima che entri in vigore il ddl Boschi.
In pratica da qui ad ottobre 2016. L’accettazione da parte del governo, con il sottosegretario Luciano Pizzetti, non ha nemmeno reso necessario il voto, ma si è comunque sviluppato un dibattito in cui ha prevalso la sorpresa per il colpo di scena. M5s ha attaccato con Giovannni Endrizzi e Paola Taverna, ma anche nel Pd Walter Tocci, da sempre sostenitore del taglio del numero delle regioni, ha definito l’ordine del giorno “un modo surrettizio di affrontare il tema”. Contrari pure tre senatori Dem, i friulani Ludovico Sonego e Carlo Pegorer e il molisano Roberto Ruta.
Luciano Uras, di Sel, ha addirittura affermato che “con la nascita di macroregioni si faranno più forti le spinte scissioniste. L’Italia finirà come Urss”.
In serata il Ministro Maria Elena Boschi ha presentato un emendamento sull’articolo 39 del d.d.l. che contiene la norma transitoria, finora oggetto del contendere con la minoranza Dem. Se dunque nella maggioranza è pace fatta, cosa che rende il percorso delle riforme in discesa, le opposizioni sono spaccate. Lega e Fi sono ai ferri corti per il voto di mercoledì degli azzurri su un emendamento assieme alla maggioranza. Ma anche dentro Fi è maretta: da una parte c’è chi (come Augusto Minzolini) propone l’Aventino, chi propone il “no” alle riforme ma rimanendo in Aula, e addirittura chi, come Riccardo Villari incita al sì. Il tutto mentre circolano raccolte di firme per azzerare i vertici dei gruppi parlamentari di Senato e Camera.
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