È legittima l’esclusione dei diritti di rogito per i segretari degli Enti con dirigenti? Parola alla Corte Costituzionale

Il Tribunale di Lucca ha sollevato questione di legittimità costituzionale in ordine all’articolo 10, comma 2-bis del d.l. n. 90/2014

18 Novembre 2021
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Con ordinanza del 15 luglio 2021 il Tribunale di Lucca ha promosso il giudizio di costituzionalità in ordine all’art. 10 comma 2-bis del d.l. 90/2014 che limita l’attribuzione di una quota dei diritti di rogito, spettanti all’Ente locale, ai segretari privi di qualifica dirigenziale o in servizio in Enti locali privi di personale con tale qualifica, anziché prevederla per tutti i segretari comunali e provinciali. L’ordinanza è stata pubblicata ieri sulla Gazzetta Ufficiale n. 46.

L’art. 10 del d.l. n. 90/2014, convertito con l. n. 114/2014, ha modificato la norma attributiva della potestà rogatoria ai segretari comunali e la disciplina dei compensi connessi a tale attività, creando non poche difficoltà agli operatori degli Enti locali. La norma, infatti, dopo aver modificato la disciplina della destinazione e della ripartizione dei proventi dei diritti di segreteria incassati dai Comuni e dalle Province, ha previsto che una quota dei proventi dell’attività di rogito debba essere attribuita al segretario comunale rogante, in misura non superiore a un quinto dello stipendio in godimento, “negli enti locali privi di dipendenti con qualifica dirigenziale, e comunque a tutti i segretari comunali che non hanno qualifica dirigenziale”.

La norma come si ricorderà ha dato luogo a numerosi contrasti interpretativi anche per quanto concerne la spettanza dei diritti di rogito per i segretari in servizio presso Enti privi di dirigenti. Il contrasto interpretativo è stato risolto, per tali segretari in enti privi di dirigenti con la deliberazione n. 18/2018/QMIG la Corte dei conti, Sezione Autonomie, che, in riforma del primo principio di diritto espresso nella delibera 21/SEZAUT/2015/QMIG, alla luce della previsione di cui all’art. 10 comma 2-bis, del d.l. 24 giugno 2014, n. 90, convertito, con modificazioni dalla legge 11 agosto 2014, n. 114, ha affermato che “i diritti di rogito, nei limiti stabiliti dalla legge, competono ai segretari comunali di fascia C nonché ai segretari comunali appartenenti alle fasce professionali A e B, qualora esercitino le loro funzioni presso enti nei quali siano assenti figure dirigenziali”.

Rimane quindi il tema della non spettanza dei diritti di rogito ai segretari degli Enti con dirigenti, che aveva sin da subito fatto sorgere dubbi in merito alla costituzionalità della norma. Come si è avuto modo di scrivere in altra sede “i dubbi di compatibilità costituzionale riguardano non solo lo strumento del decreto legge utilizzato per l’innovazione normativa, ma anche il contenuto stesso della norma” (in tal senso A. Scarsella, Diritti di rogito per i Segretari degli enti locali, Maggioli 2018, pag. 83). Quanto al contenuto si era evidenziata la disparità di trattamento creata dalla norma e la crisi che la stessa aveva creato al sistema retributivo dei segretari comunali. Nella stessa sede si era evidenziato, quanto alla disparità di trattamento che la medesima funzione veniva retribuita per alcuni segretari mentre tale funzione non veniva retribuita per altri. Inoltre, si era rilevato che “La norma, ad avviso di chi scrive, ha creato un problema di coerenza retributiva del sistema, rispetto alle previsioni contenute nei contratti di lavoro tra i segretari che operano in enti privi di dirigenti e quelli che operano in enti con dirigenti. Infatti, in molte circostanze si verificano ipotesi in cui segretari in servizio in enti più piccoli, appartenenti a classi di segreteria inferiori, percepiscono una retribuzione più elevata dei colleghi in servizio in enti più grandi, appartenenti a classi di segreteria superiori. Inoltre, non è infrequente assistere a cambi di sedi che rappresentano un “avanzamento di carriera” cui corrisponde una riduzione complessiva della retribuzione percepita dal segretario che, proveniente da ente privo di dirigenti, si ritrova nel nuovo ente di dimensioni più grandi con i dirigenti ad avere un incremento dell’indennità di posizione che non compensa la perdita di una voce importante della retribuzione quale è quella dei diritti di rogito. Su tale aspetto l’auspicio è che si apra una riflessione seria, in quanto non è corretto che all’aumento della complessità del lavoro e delle responsabilità non segua un coerente sviluppo del sistema retributivo. Uno dei principi costituzionali in tema di lavoro è quello scolpito nell’art. 36 il quale sancisce che “Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro”. La norma sui diritti di rogito, inserita in un provvedimento d’urgenza, modificata in sede di conversione con una norma che ha creato notevoli problemi interpretativi, non ha minimamente valutato le conseguenze in tema di coerenza del sistema retributivo dei segretari comunali” (op. cit. pag. 87).

Il giudice del lavoro di Lucca ha rimesso il tema della costituzionalità della norma innanzi alla corte costituzionale rilevando:

  • la norma “crea significative discriminazioni prive di ragionevolezza e financo rimesse alla casualità (non essendoci regole che ancorino la presenza di dirigenti all’interno degli enti locali a fattori oggettivi) e non sempre prevedibili, e disincentiva dal rogare gli atti, Incidendo negativamente sull’efficienza della Pubblica Amministrazione”;
  • lo strumento del decreto legge, che presuppone situazioni di straordinarietà e urgenza, appare non consentire una simile modifica normativa, in quanto la norma è “manifestamente carente di un caso straordinario di necessità e di urgenza”;
  • la Sezione V del Consiglio di Stato con la sentenza del 12.11.2015, n. 5183, ha affermato che “i diritti di rogito hanno una funzione di remunerazione di una particolare attività alla quale è correlata una responsabilità di ordine speciale e sorgono con l’effettiva  estrinsecazione  della funzione di  rogante  la  quale, ancorché di carattere obbligatorio, eccede l’ambito delle attribuzioni di lavoro  normalmente  riconducibili al pubblico impiego”, non apparendo ragionevole dedurre l’onnicomprensività del trattamento”;
  • la norma non assolve una funzione “perequativa”, bensì è tale da determinare un’irragionevole disparità di trattamento fra segretari comunali e provinciali (erroneamente l’ordinanza parla di “consiglieri comunali e provinciali”), quindi un’irragionevole difformità in grado di inficiare la progressione in carriera dei lavoratoti pubblici, così violando i principi di cui all’articolo 97 della Costituzione;
  • la norma in esame risulta in contrasto con l’articolo 3 della Costituzione, tanto in relazione al  profilo  dell’uguaglianza, quanto per quello della ragionevolezza, poiché idonea a creare, tra i segretari comunali e provinciali, allorquando svolgano la  medesima funzione, trattamenti  differenziati  senza  che  ciò  possa  essere giustificato in base ad alcuna ratio, non  comprendendosi il motivo per cui un segretario comunale o provinciale sia costretto a  vedersi riconosciuti i diritti di segreteria soltanto quando appartenga a una fascia inferiore o svolga la sua attività in un Ente privo di dirigenti.

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Fonte immagine: IStockPhoto

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